Il lavoro sta mutando nelle sue forme e nel suo significato per le persone: è un dato di fatto, almeno nell’Occidente “avanzato”, soprattutto dopo l’esperienza generalizzata dei lockdown e dello smart-working.
È stata una esperienza collettiva che ha permesso una riflessione – più o meno cosciente – sul senso profondo del lavoro per le singole persone e per la collettività nel suo complesso.
Chi ha lavorato nei servizi essenziali: sanità, agricoltura, logistica, trasporti, servizi pubblici, uffici pubblici, banche, ha fatto una diversa esperienza di chi lavorava in ufficio e ha lavorato da casa, oppure da chi era occupato in servizi meno essenziali: turismo, divertimento, sport, ecc.
Ci si è resi conto di ciò che era più essenziale, aveva più senso, e ciò di cui in qualche modo si poteva fare a meno, almeno per un tempo limitato.
Un giovane storico olandese, Rutger Bregman, nato nel 1988, scriveva dei lavori burla (Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale, 2016): lavori che le stesse persone che li svolgevano ritenevano, in fin dei conti, superflui. In un mondo in cui ciò che conta è il profitto, spesso facendo soldi solo con i soldi, senza produrre niente, si chiedeva come potrebbe cambiare il mondo se i giovani di talento impiegati nel settore finanziario, dove si sposta ricchezza, si fossero invece laureati in campi per produrre ricchezza, per risolvere i problemi urgenti dell’umanità: dal cambiamento climatico, alla lotta contro la povertà, dalla salvaguardia del creato alla produzione di cose utili al bene comune.
L’attuale cambiamento ripropone l’antica domanda che è sorta in modo pressante dalla rivoluzione industriale: cosa produrre, come produrre, per chi produrre?
Il lavoro come compito dell’uomo chiamato dal Signore a coltivare e custodire la terra (cfr. Gen 2,15) è un richiamo sempre attuale, e oggi ancora più che mai, al vero senso del lavoro sia per la singola persona, come mezzo dignitoso di sostentamento, sia come senso per la collettività in vista del bene comune.
«L'estendersi della precarietà, del lavoro nero e del ricatto malavitoso fa sperimentare, soprattutto tra le giovani generazioni, che la mancanza del lavoro toglie dignità, impedisce la pienezza della vita umana e reclama una risposta sollecita e vigorosa. Risposta sollecita e vigorosa contro questo sistema economico mondiale dove al centro non ci sono l’uomo e la donna: c’è un idolo, il dio-denaro. E’ questo che comanda! E questo dio-denaro distrugge, e provoca la cultura dello scarto: si scartano i bambini, perché non si fanno: si sfruttano o si uccidono prima di nascere; si scartano gli anziani, perché non hanno la cura dignitosa, non hanno le medicine, hanno pensioni miserabili… E adesso, si scartano i giovani. Pensate, in questa terra tanto generosa, pensate a quel 40%, o un po’ di più, di giovani dai 25 anni in giù che non hanno lavoro: sono materiale di scarto, ma sono anche il sacrificio che questa società, mondana e egoista, offre al dio-denaro, che è al centro del nostro sistema economico mondiale. Davanti a questa cultura dello scarto, vi invito a realizzare un sogno che vola più in alto. Dobbiamo far sì che, attraverso il lavoro – il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (cfr. Esort. ap. Evangeli Gaudium, 192) – l’essere umano esprima ed accresca la dignità della propria vita» (Papa Francesco all’udienza con le Acli per il 70° della fondazione, 23 maggio 2015).
Papa Francesco riprende la rivelazione biblica e il magistero sociale della chiesa, per renderlo attuale per l’oggi in cui viviamo. Il lavoro ha sempre una dimensione relazionale, non è mai solo un lavoro per sé, ma è anche e soprattutto per produrre qualcosa di utile per gli altri. Il lavoro dovrebbe essere, potrebbe essere, la concreta solidarietà sociale per rispondere ai bisogni e ai desideri di tutti e di ciascuno.
La frammentazione del lavoro moderno, la diffusa precarietà, sono il sintomo di una frammentazione e precarietà del patto sociale che dovrebbe garantire a tutti e a tutte una vita quantomeno dignitosa.
«Quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale» (Papa Francesco, Discorso all’incontro con il mondo del lavoro, 27 maggio 2017).
Il lavoro è un agire che mette ordine nella vita delle persone, dà un senso alla vita delle persone. Un lavoro frammentato, con poco o nessun senso, se non quello di creare profitto per qualcuno a scapito di altri, penetrando come mentalità anche in settori pensati fino ad oggi come caratterizzati da una dimensione più di gratuità che di profitto, è un lavoro che mette in crisi le persone e le frammenta.
Gli uomini e le donne non ritengono più il lavoro un qualcosa che li nobilita, ma che li rende meno umani, e quindi – se possono – cercano altrove un possibile senso della loro vita.
La rivelazione biblica relativizza il lavoro attraverso l’alternanza con il riposo, quando si riconosce che tutta la vita è un dono che viene dal Dio che libera dalla schiavitù, e che tale libertà ricevuta come dono va condivisa con tutto coloro con cui si entra in relazione, allora la famiglia allargata:
«Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò, il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato» (Dt 5,12-15).
Il lavoro in tutte le sue forme, sia quelle che danno un salario, che quelle gratuite è la cartina di tornasole del senso e della dignità della nostra vita. Il lavoro che dà un salario è un tempo parziale nella parabola della nostra vita, tuttavia importante perché ci può far crescere in dignità, sapienza, condivisione, solidarietà, se insieme ce ne prendiamo cura per renderlo sempre più degno per tutti noi.