Innanzitutto un atto di libertà della persona: libertà intesa come consenso al bene...

Una prima definizione di donare: dare qualcosa con un libero atto di volontà senza aspettarsi ricompense, ci introduce nel mondo del perdono. Nel latino più antico si usava condonare che poi si è trasformato in perdonare, con l’uso del rafforzativo “per”.

La radice indoeuropea “da”, all’origine di donare, significa: effetto dell’azione “a” della luce “d”.

Il perdono è dunque innanzitutto un atto di libertà della persona: libertà intesa come consenso al bene, senza altra imposizione che quella che scaturisce dal bene stesso.

Siamo così di fronte alle profondità del perdono, un atto frequente nella vita quotidiana di coppia, di amicizia, del lavoro che pratichiamo facilmente di fronte alle piccole incomprensioni della vita ordinaria originate, in genere, dalla mancanza di una dovuta attenzione alla dignità dell’altra persona con cui abbiamo relazioni faccia a faccia.

Il perdono è un atto di massima espressione dell’umanità di una persona, sia quando è facilmente praticabile, molto di più quando sono in gioco esperienze dolorose e drammatiche che coinvolgono dimensioni più significative più originarie.

Che cosa diamo a qualcuno quando lo perdoniamo? La possibilità di ristabilire una relazione degna della comune umanità. Tutti siamo chiamati a vivere per compiere il bene in quanto bene, cioè a realizzare una convivenza degna di questo nome: giusta, libera, che promuove la vita dell’altro allo stesso tempo e nello stesso modo della nostra (ama il prossimo tuo come te stesso).

Noi siamo chiamati ad essere uomini e donne degne di questa realtà e tutto ciò che non è all’altezza di questo ideale lo sentiamo come una mancanza significativa del nostro essere persona.

Certo, il perdono verso colui che ha compiuto un grave male nei propri confronti o nei confronti di persone vicine: parenti, amici, compagni di progetti comuni, concittadini, ecc., non è facile per vari motivi.

Il primo riguarda la relazione che si interrompe nella sua dimensione più originaria: essendo tutti parte dell’unica comunità umana (l’umano-che-è-comune, direbbe Sequeri) abbiamo una innata fiducia che saremo trattati sempre con il rispetto dovuto a un fratello. E’ un sentire profondo, originario, che si incarna nelle prime cure ricevute appena nati.

Il secondo riguarda se colui che compie il male ha una relazione più o meno stretta con noi o se invece è uno sconosciuto. Nel primo caso sentiamo ancora più forte la ferita subita, nel secondo ci domandiamo: ma questo sconosciuto cosa ha a che fare con me? In ogni caso ci interroghiamo sulla qualità della relazione tra me e l’altra persona (o le altre persone se agiscono in gruppo) e i motivi che l’ha portata a interromperla in modo traumatico.

Il terzo riguarda – a male avvenuto – come impedire che questo possa accadere di nuovo, cioè come porre un argine a colui che compie il male.

Il quarto motivo è interrogarsi su come poter ristabilire una giusta relazione con l’altra persona, riconoscendola come persona che ha commesso un male, ma che ha diritto alla sua dignità, in ogni caso e comunque.

La risposta d Gesù alla domanda di Pietro: Quante volte dovrò perdonare mio fratello? Fino a 70 volte 7, cioè sempre, ci mostra un insegnamento su cosa vuol dire essere veramente umani. Ciò che è importante è ricostruire la relazione con l’altro.

La difficoltà del perdono non è nell’atto in sé, ma nella capacità di saper accogliere il dolore e la sofferenza per il male ricevuto e di voler ricostruire la relazione con chi l’ha compiuto.

Nella storia recente dell’umanità abbiamo visto e conosciuto persone che hanno perdonato, ma anche processi di riconciliazione dopo anni di conflitti dentro uno stato, in SudAfrica, per esempio.

All’origine del male compiuto verso le persone c’è sempre una diminuzione o addirittura negazione che l’altro sia una persona degna come me di vivere. Il linguaggio che precede una guerra, per esempio, nomina l’avversario come fosse un animale o una razza inferiore, non più un uomo o una donna degna di rispetto e cura reciproca. Il potere degli uomini esercitato negli episodi di violenza sulle donne è un altro esempio di questa diminuzione della umanità che si ha in comune con l’altro.

Infine, il perdono è un processo che ha i suoi tempi e non sempre giunge a maturazione, ma è sempre un tentativo per diventate tutti degni di far parte della vita-che-è-comune e che ci fa crescere in umanità.

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Suggerimenti per approfondire

D. Tutu, Non c’è futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano 2001. (Sulla esperienza di riconciliazione in Sudafrica)

G. Bertagna – A. Ceretti – C. Mazzucato (a cura di), Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, Il Saggiatore, Milano 2015.

  N.2 Febbraio 2024

 

La parola: Perdono https://pop.acli.it/images/perdono.jpg Redazione POP.ACLI