Dire donna ha una valenza specifica non equiparabile con la parola femmina...

Dire donna
Dire femmina

È facile essere una femmina, bastano un paio di tacchi a spillo e abiti succinti.
Ma per essere una Donna ti devi vestire il cervello di carattere, personalità e coraggio.
Anna Magnani

Donna è parola d’uso comune che custodisce, nella sua storia ed evoluzione, almeno due indicazioni significative. La prima è che, paradossalmente, mentre l'etimologia della parola uomo rimanda al latino humus (da cui il termine umile), al contrario donna esprime tutta l'importanza ed il potere che ebbe il matriarcato nelle antiche civiltà e nelle antiche culture del Mediterraneo in particolare. La seconda è che questa parola non rappresenta e non definisce solo una condizione biologica prefissata, ma fa piuttosto riferimento ad un concetto frutto di una evoluzione, ad indicarne tutta la sua dinamicità nel tempo, fino ad oggi.

Donna etimologicamente deriva dal latino domina, femminile di dominus che, nell’antica Roma, era il signore, il padrone, colui che si differenziava dai servi e dai liberti. La radice della parola va ricondotta a domus che significa casa; il termine aveva però valenza anche nel senso di dominio e possesso e di fatto, nella cultura romana, rappresentava, nella forma maschile, la massima autorità famigliare e a caduta anche quella politica. Può essere tradotto letteralmente con “colui o colei della casa”. Dominus era dunque il padrone di casa, domina era sua moglie. Nel corso della storia il termine ha assunto anche il significato di regina e/o imperatrice: ad indicare donne di alto rango sociale. Nell’evoluzione linguistica, lentamente, la parola domina ha finito col perdere, per semplificazione, la vocale tra la m e la n, trasformandosi in domna e successivamente evolvendo nel moderno donna. Si è quindi persa la connotazione di padrona di casa per indicare invece le donne di ogni estrazione sociale.

Dire donna ha quindi una valenza specifica non equiparabile con la parola femmina (termine con cui erano definite le donne nella lingua latina). Vi è infatti una grande differenza tra l’essere femmina e l’essere donna. Nel primo caso si tratta di una condizione determinata dalla biologia, che attiene ad una certa configurazione anatomica. Essere donna, appartenere a un certo genere, è invece uno stato generato dai contesti sociali e culturali in cui si vive. Parafrasando una celebre frase di Simon de Beauvoir potremmo dire che si nasce femmina ma si diventa donna! Il concetto di genere, inteso come prodotto collettivo, ci permette di respingere l’idea diffusa che il sesso fissi automaticamente la posizione sociale di una persona, dimostrando l’esistenza di varie modalità di essere donna e quindi da non poter essere rappresentate tramite un’unica concezione.

È per questa ragione che ancora oggi ha senso parlare di femminismo: un movimento che, prendendo a spunto le parole della benedettina Teresa Forcades può essere definito in «tre o quattro punti». Primo: «il femminismo è individuare la discriminazione. E non tutti la vedono». Secondo: «prendere coscienza della ingiustizia di questa discriminazione. Insomma, assumere con chiarezza una posizione contraria». Ma questo non basta; occorre – ed è il terzo punto – opporre alle discriminazioni l’azione: «lottare per eliminarla». E per fare teologia femminista c’è un quarto punto. «Deve esserci chiaro che la discriminazione non viene dalla natura, non viene da Dio, non viene dai sacri testi. Quindi va criticata e respinta la teologia che teorizza la discriminazione perché la ritiene voluta da Dio».

La parola: Donna https://pop.acli.it/images/Donna_-_artem-kovalev-fk3XUcfTAvk-unsplash.jpg Redazione POP.ACLI