Una parola con una storia difficile, la nostra...

Se quel che si fa si apre sull’infinito, se si vede che il lavoro ha una sua ragion d’essere e che continua al di là, si lavora più serenamente” Vincent van Gogh

La parola lavoro viene dal latino labor, fatica e, anche in altre lingue europee o nei nostri dialetti, il campo semantico proveniente dall’etimologia non è entusiasmante. Il significato di questa parola, pare concentrarsi sempre sui suoi accenti più negativi come il dolore (travaillé, trabajo). 

Certamente il riferimento biblico dell’espulsione dei progenitori dal giardino di Eden come condanna è preso alla lettera: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai! […] Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto” (Gen 3, 19.23). Nel racconto la confusione e la solitudine della rottura dei rapporti con Dio nel peccato generano un’insopportabile fatica: al lettore attento non sfuggirà che, anche prima (Gen 2,15), il lavoro è presente nel compito assegnato di coltivare e custodire il giardino, ma ora ne è mutato il vissuto. L’intenzione sottesa è educativa, in quanto lo strisciare a terra del serpente, il dolore del parto e la fatica del lavoro ricordano che nessun uomo o donna è padrone della vita (Gen 3, 14-19).

Il lavoro umano è per la Bibbia la risposta grata dell’umanità al dono della Creazione. Il comandamento del riposo e l’economia “giubilare” (redistributiva) sono l’apice della dottrina biblica sul lavoro. Il fine è quindi la custodia e il godimento dei beni della Creazione (con una destinazione universale) per la libera relazione e non la subordinazione. 

Quindi, quando gli esseri umani svolgono il proprio lavoro e anche quando da bambini e da ragazzi si preparano al lavoro a scuola o durante il percorso formativo, non è solo per poter guadagnare e per mantenersi. Attraverso il lavoro possono dare un contributo allo sviluppo del mondo (Cfr. Docat. Che cosa fare? La dottrina sociale della Chiesa, San Paolo 2016). 

Laddove il lavoro diventa autoreferenziale, fine a sé stesso o alle sole necessità di sopravvivenza si oscura il riconoscimento dell’essere donne e uomini liberi e amati. Così la fatica è vissuta come una condanna anziché una pro-mozione.

“Ottenere liberamente agendo con energia, acquisire, prendere, ottenere con fatica” è il significato della radice indoeuropea labh che ci restituisce un orientamento nella forza impiegata del lavoro. In una direzione “dossettiana”, ciò che si conquista con il lavoro è il riconoscimento della propria dignità nel divenire persona.

Questa parola, secondo la sua significazione più positiva, si è fatta per noi normativa nella Costituzione e nel nome delle Acli (la L di lavoratori), senza dimenticare i limiti del campo semantico, che continua a ricordarci gli sforzi, talvolta disumanizzanti, a cui le persone sono state sottoposte nella storia e anche oggi riguardano tanti nel mondo e vicino a noi (si pensi, per fare un esempio, al fenomeno del caporalato di cui, anche inconsapevolmente, si rischia di mangiarne i cattivi frutti).

Infatti, l’attenzione è posta sulla persona che lavora e, di conseguenza, su un lavoro che riguarda lo sviluppo individuale e collettivo nel riconoscimento dei soggetti, dei loro diritti e delle loro responsabilità. 

Il fondamento del lavoro sul quale si costituisce la Repubblica (art. 1) è rivolto alla dignità della persona umana (art. 2-3), al progresso materiale e spirituale (art. 4) e deve garantire un’esistenza libera e dignitosa (art. 36).

La parola: Lavoro https://pop.acli.it/images/MAGGIO/Van_Gogh_-_Zwei_Buerinnen_beim_Kartoffelgraben.jpg Redazione POP.ACLI