Repubblica è una parola con cui abbiamo un’istintiva e antica consuetudine. Malgrado l’Italia sia diventata tale solo nel 1946, parti della Penisola hanno sperimentato in epoche diverse le forme repubblicane...

Repubblica è una parola con cui abbiamo un’istintiva e antica consuetudine. Malgrado l’Italia sia diventata tale solo nel 1946, parti della Penisola hanno sperimentato in epoche diverse le forme repubblicane. Probabilmente, la prima esperienza in Italia fu quella degli Antichi Romani, che, stanchi del suo dominio, impedirono al re Tarquinio il Superbo, impegnato in un assedio, di rientrare in città, eleggendo al contempo i primi due consoli: le istituzioni monarchiche cessarono così di esistere e nacque la Repubblica romana. Essa rappresentò il sistema di governo di Roma per circa 500 anni, lungo un’epoca di grandi trasformazioni, che portò una piccola città-Stato a diventare la capitale di un complesso organismo che governava quasi tutto il mondo conosciuto. I Romani non rinunceranno più alla Repubblica, anche quando di essa non resteranno che le mere sembianze, divenendo di fatto un impero ma conservando formalmente le istituzioni repubblicane. 

In seguito, furono repubbliche anche le famose città marinare del Medioevo e lo furono – talvolta anche solo a tratti – molti degli Stati in cui era divisa l’Italia nel Rinascimento e nei secoli successivi, come la Serenissima Repubblica di Venezia, che cadrà definitivamente solo all’arrivo dell’esercito napoleonico alla fine del Settecento. Romana si chiamò anche la Repubblica nata nella capitale sotto la spinta ideale dei patrioti risorgimentali nel 1849. Benché abbia avuto vita breve, la sua esistenza fu significativa nella storia dell’unificazione italiana, facendo della Roma dell’epoca il banco di prova di nuove idee democratiche che trovarono accoglienza nella sua Costituzione, la più democratica nell’Europa di quei tempi, modello ispiratore anche per quella italiana del secondo dopoguerra. 

Fin dalla Roma antica, i principi cardine del sistema repubblicano consistono nella temporaneità del mandato e nella collegialità delle cariche elettive. Un altro elemento fondamentale è il maggior peso via via assunto dalle classi popolari, tale per cui la parola repubblica è stata talvolta usata – come in Machiavelli – quale sinonimo di democrazia. Da questo punto di vista, le caratteristiche della Repubblica non sono mai mutate. Ad oggi, essa si definisce come la forma di stato di carattere rappresentativo in cui l’organo supremo (Capo dello Stato) viene eletto o direttamente dal corpo elettorale o dai membri del parlamento. È la forma di governo che si è storicamente contrapposta alla monarchia, cioè al governo di un solo individuo, che eredita il potere e lo esercita fino alla morte. In una repubblica il potere appartiene al popolo o a una parte di esso, secondo il grado di democraticità della repubblica stessa. Il suo significato letterale deriva dal latino e designa la «cosa pubblica», cioè un bene di tutti, interesse comune ma anche oggetto di cure da parte di ciascun cittadino; essa definisce insieme il legame di solidarietà e il senso di appartenenza dei cittadini, e il simbolo che li rappresenta.  

Nel nostro Paese la repubblica è stata instaurata dopo il referendum popolare del 2 giugno 1946, in cui per la prima volta furono chiamate al voto anche le donne italiane. Il primo articolo della nostra Costituzione recita che «l’Italia è una repubblica democratica», a significare che il potere risiede nel popolo nella sua interezza. In una repubblica democratica i cittadini sono considerati uguali, senza privilegi di ceto, e le leggi sono espressione della volontà del popolo, che le vota attraverso propri rappresentanti. La nostra è, quindi, anche una repubblica parlamentare, perché i cittadini eleggono i propri rappresentanti, che siedono in Senato o alla Camera dei deputati. È unitaria, perché lo Stato è governato come una singola entità, pur nelle sue articolazioni territoriali. 

Le repubbliche, però, nel mondo sono niente affatto uguali. Nella storia ve ne sono (state) tra quelle che anziché fondarsi sul pluralismo e sul libero consenso popolare, vedono (o hanno visto) la presenza di un partito unico o egemone, che accentra tutti i poteri e che viola i diritti in funzione dei propri interessi. Il punto essenziale, dunque, risiede nel rapporto tra repubblica e democrazia: se quest’ultima si affievolisce, o muta geneticamente, della prima restano solo le forme svuotate della sostanza. Oggi quasi tutti i Paesi del mondo hanno una forma repubblicana, sebbene con alcune distinzioni. Ma meno dell’8% della popolazione mondiale vive in democrazie complete, secondo il Global Democracy Index (2023), elaborato ogni anno dal settimanale “The Economist”.  

Non solo le repubbliche hanno aspetto diverso, ma possono anche avere derive autoritarie. Come nella “Fattoria degli animali” di George Orwell, il dispotismo può convivere con la sovranità popolare, esercitando un potere unico ma eletto dai cittadini, che riducono la propria libertà ad un simulacro, in cui ogni giorno è meno utile e più raro l’uso del libero arbitrio. La tirannide della maggioranza, come la chiamò Tocqueville, e la pressione al conformismo sociale esercitata sulle minoranze, sono un rischio reale, come lo è il processo di spoliticizzazione, sintomo del crescente individualismo presente nelle nostre comunità. Un regime repubblicano può non essere necessariamente democratico, specie quando non si vigila affinché lo sia. In esso più che altrove, dunque, servono cittadini maturi, che si impegnano nel partecipare e sono disposti – come scrisse Einaudi, secondo Presidente della Repubblica italiana – a «prima conoscere, poi discutere, poi deliberare». Cittadini che esercitano il senso critico e la libertà politica. Tocqueville scrisse che «quando il cittadino è passivo, è la democrazia che s’ammala». E la repubblica degenera, verrebbe da aggiungere.  

La parola: repubblica https://pop.acli.it/images/GIUGNO/senato.jpg Redazione POP.ACLI