La gratitudine si connota di affetto verso chi ci ha fatto del bene, comporta il ricordo del beneficio ricevuto e la disponibilità a ricambiare in modo positivo da parte del destinatario...

La gratitudine è l’anima della religione, dell’amor filiale,
dell’amore a quelli che ci amano, dell’amore alla società umana,
dalla quale ci vengono tanta protezione e tante dolcezze.
Silvio Pellico

La frase di Silvio Pellico, di cui quest’anno ricorrono i 170 anni dalla morte, posta in apertura, riassume efficacemente quale sia il significato individuale e sociale della gratitudine. Il dizionario italiano, che ne ricorda l’origine latina (l’etimologia della parola risale, infatti, al latino gratus, che significa riconoscente, grato), la definisce come il sentimento di apprezzamento e di riconoscenza per un beneficio o un favore ricevuto. Rispetto alla semplice riconoscenza, però, la gratitudine si connota di affetto verso chi ci ha fatto del bene, comporta il ricordo del beneficio ricevuto e la disponibilità a ricambiare in modo positivo da parte del destinatario.

Sul fronte teorico, il termine ha avuto una qualche fortuna negli ultimi decenni: la psicologia, ad esempio, l’ha studiata nell’ambito della comprensione delle emozioni positive, integrandola come prospettiva terapeutica utile a contrastare varie forme di depressione. Ma ad essa si è fatto ricorso perfino nell’ambito del marketing e della gestione aziendale, per creare un clima disteso e maggior benessere nei luoghi di lavoro.

Generalmente, la gratitudine è associata ad un maggior benessere personale, perché chi la prova ha un atteggiamento più positivo nei confronti del mondo. Dal punto di vista individuale, induce una maggiore soddisfazione e felicità nella vita, perché insegna a guardare quanto di buono c’è, producendo sensazioni di serenità e ottimismo.

Ma la sua pratica ha anche un risvolto (o funzione) sociale. Esiste una relazione tra gratitudine e benessere generale, ragione per cui è stata anche oggetto di riflessione filosofica e i suoi comportamenti studiati per una maggiore armonia collettiva, oltre che dell’individuo. Fin dall’antichità, tra i filosofi greci, e poi anche nel mondo romano, la gratitudine era considerata un valore centrale per la tenuta dell’ordine socio-politico. A proposito della gratitudine, Cicerone affermava che «non è solo la più grande delle virtù, ma il genitore di tutte le altre». Il celebre oratore era certo interessato a mantenere, anche attraverso la promozione di alcuni valori, lo status quo a vantaggio della sua classe di appartenenza, ma ciò non toglie sostanza alla sua affermazione.

La gratitudine è un comportamento che rinsalda il legame interpersonale. Quando le persone si sentono riconoscenti, sentono l’obbligo di ricambiare gli sforzi degli altri individui, in un circolo virtuoso nel quale tutti risultano vincitori, perché le tendenze altruistiche vengono rafforzate. Provare gratitudine rafforza i legami sociali con le altre persone: cooperare, sentirsi parte di un gruppo e sperimentare gratitudine nei confronti degli altri membri cementa il rapporto tra gli individui. È la gratitudine che – in qualche modo – ha fatto nascere la solidarietà e ci permette di essere solidali, riconoscendo un “obbligo” verso gli altri, la natura e il mondo, con cui tramite essa entriamo in connessione più profonda. La gratitudine, insomma, sostiene la disponibilità verso la creazione di una reciprocità sociale anche con gli estranei e consente di (ri)costruire legami soddisfacenti e consapevoli con il mondo che ci circonda.

Non a caso, è una propensione umana preziosa in molte tradizioni religiose e in molte fedi, che valorizzano la riconoscenza verso la divinità e verso tutto ciò che esiste al mondo. Della gratitudine ha spesso parlato anche Papa Francesco. Rivolto alle famiglie presenti nell’udienza generale del 13 maggio 2015, ha indicato l’importanza di alcune parole, tra cui “grazie”. Il Santo Padre, a tal proposito, si è così espresso: «Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita familiare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio».

Il 21 settembre è la Giornata Mondiale della Gratitudine. Istituita in origine nel 1965 alle Hawaii dal filosofo e maestro di meditazione Sri Chinmoy, solo nel 1977, presso la sede del gruppo di Meditazione delle Nazioni Unite a New York fu celebrata la prima edizione, poi diventata universale con la denominazione di World Gratitude Day. La ricorrenza è stata immaginata come un’opportunità per il genere umano di riflettere e ringraziare per la vita e per quanto ciascuno di noi ha ricevuto, per tutto ciò che c’è. Questa data è la circostanza perfetta per apprezzare ciò che di bello ci circonda e rende le nostre vite significative (le persone, le esperienze, le cose), per condividere la gioia con gli altri e per allenarci a dire “grazie”. Se, come diceva Jean Baptiste Massieu, la gratitudine è la memoria del cuore, vale la pena non perdere l’occasione.

La parola: gratitudine https://pop.acli.it/images/SETTEMBRE2024/shutterstock_2511431721.jpg Redazione POP.ACLI