Partigiana, Costituente nella Commissione incaricata di redigere la Carta, Maria Agamben è la prima “delegata femminile” delle ACLI e la prima donna in presidenza nazionale…

“Breve” biografia di una donna straordinaria e instancabile…
Nata a l'Aquila nel 1899, si laurea in lettere e si dedica all’insegnamento e al giornalismo.
Formatasi sotto l'influenza del pensiero sociale cristiano, in particolare di E. Mounier e di Jacques Maritain, è una cattolica impegnata, animata da una profonda fede nei valori della libertà e della democrazia, come testimonierà tutta la sua vita.
Nel 1926 si sposa con Mario Federici, critico letterario e drammaturgo abruzzese, con il quale - negli anni del fascismo - si trasferisce all'estero, insegnando presso Istituti di cultura italiana, prima a Sofia poi in Egitto ed infine a Parigi.
Rientrata a Roma nel 1939, la Federici si impegna nella Resistenza. Entra nell'associazione Piazza Bologna, che fornisce assistenza ai perseguitati politici, e si impegna nell'UDACI (Unione donne dell'Azione cattolica.
Nell'agosto 1944, eletta durante il congresso istitutivo, diviene la prima delegata femminile delle ACLI e, in questa veste, l'anno dopo organizza il Convegno nazionale per lo studio delle condizioni del lavoro femminile, un importante momento di confronto per le donne cattoliche.
ACLI Verbale 27mar1945 1

In seguito, nell'inverno 1944-1945, la Federici partecipa ai lavori per la fondazione del CIF (Centro Italiano Femminile), di cui diventa la prima presidente.
Il 2 giugno 1946 viene eletta in Assemblea Costituente (una delle 21 donne su 556 deputati) ed entra a far parte “Commissione per la Costituzione”, formata da 75 componenti appartenenti a tutte le forze politiche, a cui venne affidato il compito di presentare un “Progetto di Costituzione”.
La Commissione dei 75 – come venne chiamata - ripartita in tre Sottocommissioni: diritti e doveri dei cittadini; organizzazione costituzionale dello Stato; rapporti economici e sociali, iniziò i suoi lavori il 20 luglio 1946 e li concluse il 31 gennaio 1947. L’Assemblea Costituente iniziò l’esame del Progetto il 4 marzo 1947 e lo concluse con l’approvazione definitiva il 22 dicembre 1947.
Nella Commissione dei 75 furono elette 5 donne: Maria Federici (DC), Teresa Noce (PCI), Angelina Merlin (PSI), Nilde Iotti (PCI) e Ottavia Penna Buscemi (UOMO QUALUNQUE). Tre di loro (Federici, Noce e Merlin) fecero parte della terza Sottocommissione.
Nel 1947 fonda l'ANFE (associazione nazionale famiglie emigrati), di cui rimane presidente fino al 1981.
Nella prima legislatura (1948-1953) è componente della XI Commissione (Lavoro e Previdenza sociale) della Camera e della Commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione. Proseguendo il lavoro portato avanti nella Costituente, è relatrice del ddl sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, convertito poi nella legge n. 860 del 1950.
Sempre nel 1950, poi insieme a Lina Merlin, Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Jervolino, diede vita al Cidd (Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna) che sostenne la proposta Merlin per l’abolizione della regolamentazione statale della prostituzione.

Il contributo di Maria Federici ai lavori della Costituente è rilevantissimo. Non c’è seduta della Sottocommissione o dell’Assemblea che non la veda partecipe e dalla quale non traspaia il lavoro attento, intelligente e determinato, condotto con le altre elette, perché la democrazia si realizzi nel rispetto delle donne, della loro differenza e dei loro diritti.
Si batté perché fosse riconosciuto alle donne lo status di “capo-famiglia”; perché il sostegno alla famiglia si sostanziasse attraverso garanzie economiche e sociali; perché fossero riconosciuti i diritti dei nuclei familiari irregolari e dei figli nati fuori del matrimonio; perché fosse garantita l’istruzione ai “ragazzi poveri”; perché fosse riconosciuta la stessa retribuzione a parità di lavoro; perché le condizioni di lavoro rispettassero la specificità femminile nella sua funzione familiare e materna; perché si rimuovesse ogni interdizione ad uffici e professioni nei confronti delle donne.

Di seguito solo alcuni stralci delle proposte di Maria Federici nel corso dei lavori della Terza Sottocommissione.

Art. 3113 settembre 1946 Discussione generale sulle garanzie economico-sociali per l'assistenza della famiglia
Federici Maria
Alla lavoratrice capo-famiglia sono assicurati i diritti riconosciuti al lavoratore capo-famiglia
integrati dalle forme assistenziali predisposte per la tutela della maternità e dell'infanzia.
Per ciò che concerne i figli, ritiene che si debba tener conto che in questo eccezionale periodo si è venuto moltiplicando il numero delle madri nubili con un carico di 2 o 3 figli, che formano vere e proprie famiglie. Bisogna dare a queste famiglie tutte le garanzie, in modo che i figli rimangano stretti vicino alla madre; a tale scopo aveva proposto un articolo a parte che riguardava un aspetto così delicato della questione, riconoscendo a queste madri la qualifica di capo-famiglia, in quanto esse hanno la responsabilità di mantenere i loro figlioli e dovranno avere tutti i diritti provenienti dalla loro qualifica di lavoratrici, oltre che quella di madri.
Alla famiglia devono assicurarsi provvidenze in materia di retribuzioni — cioè i salari familiari — e di accesso alla proprietà, con particolare riferimento alla casa.
Naturalmente la tutela della madre e dei figli deve essere tenuta presente anche quando la famiglia è irregolare, perché la maternità è una cosa così fondamentale e così delicata che ha bisogno di particolari cure, sia da parte della collettività, sia da parte dello Stato in forma integrativa. È necessario che l'ordinamento finanziario dello Stato permetta di andare incontro alle necessità delle famiglie numerose con sgravi fiscali, tenendo presente il concetto del reddito minimo indispensabile per assicurare la difesa e lo sviluppo della famiglia e, in definitiva, dell'intera società.
[…] Riferendosi alle preferenze per i coniugati, ricorda che proprio nel periodo fascista ciò aveva dato luogo a grandi abusi, poiché il fatto di essere sposato era un titolo preferenziale, anche nei confronti di chi aveva titoli professionali superiori. Pertanto, ritiene che richiedere maggiori garanzie da parte dello Stato per chi è coniugato non sia un principio ammissibile.
Che lo Stato debba proteggere la famiglia è una disposizione che appare in molte Costituzioni, ma è una formula assai equivoca, perché tale protezione dello Stato potrebbe far sorgere tutti quei fenomeni che sono stati deprecati nel passato regime: l'opera balilla, per esempio, che toglieva i bambini alle famiglie.
La famiglia ha diritto a tali e tante garanzie da parte dello Stato, della collettività, da non aver bisogno di protezione. Se ci deve essere una protezione, questa deve venire dalla Provvidenza. Arriverebbe quasi a dire che se mai è la famiglia che protegge lo Stato…
Art. 5120 settembre 1946  Discussione sulle garanzie economico-sociali del diritto all'affermazione della personalità del cittadino, e nello specifico la scelta del lavoro e l'accesso agli uffici pubblici e all'insegnamento universitario
Giua, Relatore, legge gli articoli da lui proposti.
«Tutti i cittadini italiani, senza distinzione di sesso, sono ammessi agli impieghi pubblici in base a concorsi, senza alcuna restrizione, tranne quella della capacità.
L'esercizio dell'insegnamento universitario è aperto a tutti i capaci indipendentemente da distinzioni di razza, religione, credo politico e nazionalità. L'accesso agli impieghi privati è aperto a tutti i cittadini italiani, senza distinzione di sesso».

[…] Molè espone alcuni dubbi: questa specificazione circa le modalità per i concorsi non crede sia materia di costituzione, ma di legge. Da un punto di vista tecnico, non è la Costituzione che deve stabilire che gli uffici sono assegnati per concorso; però dichiara di non fare alcuna proposta in merito.
Quanto alla seconda affermazione: la parificazione assoluta dei sessi in tutti gli uffici, osserva che vi sono uffici in cui tale parificazione non è possibile, ad esempio in quelli che riguardano le funzioni giudiziarie e militari.
Federici Maria non trova ammissibili queste discriminazioni.
Molè risponde che già nel diritto romano, e poi dai Santi Padri era stato riconosciuto che la donna, in determinati periodi della sua vita, non ha la piena capacità di lavoro.
Riformulazione: «La Repubblica garantisce a tutti i cittadini il libero esercizio della propria attività professionale nel rispetto delle leggi. Tutti i cittadini italiani, senza distinzione di sesso, sono ammessi agli impieghi pubblici in base a concorsi ed in relazione alla propria idoneità. Per l'insegnamento universitario, ai concorsi possono essere ammessi anche cittadini stranieri. L'accesso agli impieghi privati è aperto a tutti i cittadini italiani, senza distinzione di sesso».
Colitto è d'accordo con l'onorevole Molè che la donna non abbia la capacità di svolgere le funzioni giudiziarie, ma fa rilevare che sostituire «idoneità» a «capacità» non chiarisce il concetto.
Federici Maria trova inammissibile l'affermazione dell'incapacità della donna a ricoprire funzioni giudiziarie; quanto poi ad impieghi di carattere militare fa notare che si vanno sviluppando i così detti servizi ausiliari, compiuti da donne, e che, anche nella polizia, è preveduto l'impiego delle donne.
Molè consente che le donne possano ben corrispondere nei corpi ausiliari dell'esercito; ma si tratta di un caso che non permette generalizzazioni. Non si intende affermare una inferiorità nella donna; però da studi specifici sulla funzione intellettuale in rapporto alle necessità fisiologiche dell'uomo e della donna risultano certe diversità, specialmente in determinati periodi della vita femminile.
Maria Agamben Federici, costituente https://pop.acli.it/images/Federici_Maria_OK_ridotta.jpg Redazione POP.ACLI