La democrazia è un posto per tutti, è il riscatto della dignità umana, in un mondo abbandonato alla guerra e al calcolo, sempre più avido di ogni aspetto della vita...

Quando senti la parola democrazia mentalmente la associ subito al Parlamento, al voto, al Comune, insomma tendenzialmente agli aspetti istituzionali e partecipativi. Sacrosanto, sono istituzioni e fondamenti da difendere e riaffermare. Se prendi a leggere la Costituzione però questa affermazione parte da aspetti che dicono di un riscatto umano e sociale di ogni persona che collettivamente vogliamo animare e prometterci reciprocamente insieme nella società, come Repubblica, nel mondo e non solo nel nostro paese.

La democrazia è un posto per tutti, è il riscatto della dignità umana, in un mondo abbandonato alla guerra e al calcolo sempre più avido di ogni aspetto della vita. Un posto per tutti: ce lo ha ricordato Papa Francesco nel dirci lo stile delle Acli lo scorso 1 giugno (per il discorso cliccare qui), lo abbiamo messo sulla nostra tessera nel 2022 (ispirato dal discorso di Chaplin ne Il grande dittatore). In molte città la maggioranza delle persone che lavorano non possono permettersi di vivere per il costo di case e affitti, molti giovani incontrano il lavoro nella parziale invisibilità di tanti impieghi in nero o in grigio (solo parzialmente regolari), come testimonia una recente ricerca di IREF, che svela quanto almeno la metà dei neet (giovani che non studiano e non lavorano) in realtà lavoricchiano, e si adattano volentieri all'irregolarità che li rende invisibili (eloquente un’indagine tra gli studenti della Pastorale del lavoro di Senigallia: 56,5% favorevoli al lavoro nero), per non parlare di welfare e sanità pubblica, che sono sempre più pienamente fruibili solo da chi se le può permettere.

C'è una profondità della crisi della democrazia nel suo essere sempre più un lusso per pochi o non per tutti, un male che la fa percepire come un'aristocrazia e apre così alla ricerca di protezioni, clientelismi e mafie, e di un “politicare” autoritario e aggressivo, per quanto inconcludente. Una maggioranza di giovani favorevoli al lavoro nero è un segnale che dovrebbe far riflettere. Non mancano nella società segnali positivi, ma bisogna andarli a scovare e raccogliere con maggiore determinazione e più conflittualità civile e costruttiva, del resto Moro stesso definì l'idea che regge la Costituzione racchiusa nelle due espressioni "libertà e giustizia sociale" e nella lotta, “che non può finire”, per queste (discorso all’Assemblea Costituente denominato “I tre pilastri”).

Protagonista assoluta di questo malessere e della voglia di riscatto, che sempre più emerge e può reistituire la democrazia, è l'arretramento dettato dalla disparità salariale e di condizioni dignitose delle donne sul lavoro. Tema complesso e drammatico che sconta, insieme ai giovani, ai migranti e a chi abita (o fugge da) aree meno ricche del territorio, una deriva sempre più discriminante, come abbiamo evidenziato, tra i primi, in questi anni, in particolare nella ricerca Lavorare di/spari (cliccare qui); ancor prima nello studio dei dati sui redditi da lavoro forniti dal Caf Acli (metà delle donne sotto in 35 anni che hanno redditi da poveri o a rischio povertà: cliccare qui) e nelle nostre proposte (clic su "Lavorare Pari" e "Povero lavoro, povero Paese").

La Costituzione parla chiaro all'articolo 37 (La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…), ma ancor prima, nei suoi pilastri, all’articolo 3 laddove fu proprio la più giovane costituente, Teresa Mattei (cliccare su raiplay), a dare un contributo determinante, a mettere quel "di fatto" che àncora la democrazia all'esistenza e alla dignità concreta di ogni persona, alla realtà sociale che, insieme, istituzioni e società, abbiamo il dovere di determinare: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non è sufficiente limitarsi a uno sguardo alla Costituzione come fosse un baule dei principi, peggio se considerati antichi, siamo chiamati a farne la via maestra (come abbiamo promosso insieme ad altri). Pur nella diversità di soluzioni politiche, deve essere messa a terra la sua attuazione non solo legislativa, ma sociale ed economica. Le disparità che sono l'esito del trionfo della greed economy, l'economia dell'avidità, assunta a leadership globale e delle coscienze, si aggravano nel confronto di genere anche per il troppo lento venir meno di una sottocultura che ritiene un valore la disparità, la pretesa centralità e la superiore responsabilità del genere maschile. Guardano all'orizzonte, tristemente, l'unica cosa che potrebbe attenuare le disparità di genere nei compensi è un ulteriore impoverimento dei redditi da lavoro di tutti, come già mostrano le nostre ricerche nelle aree geografiche più marginalizzate. Una triste sorta di eguaglianza che ricorda la poesia dell’“A livella” di Totò, dove a renderci tutti eguali è un comune esito alquanto negativo; ulteriore impoverimento che spazzerà via la propaganda di dati sull’occupazione quando esploderà definitivamente la deindustrializzazione che da tempo erode le prospettive di prosperità del Paese.

Ma la battaglia sulla disparità di genere è anche nella lotta civile e non violenta alla quale da sempre la Costituente ci invita, forse ciò da cui più facilmente si può ripartire, proprio perché, se vogliamo dare spazio al Paese della dignità, è lì che spesso troviamo maggiore fame e sete di giustizia.

A noi spetta fare proposte e animare cause sociali e politiche, che abbiamo tratteggiato nei documenti citati sopra, ma soprattutto serve lo sforzo sempre maggiore della credibilità. Come abbiamo indicato nei materiali e nelle tracce congressuali serve partire da noi stessi, essere la democrazia che chiediamo al mondo, come scrivevamo già per lo scorso Congresso. In questo senso il Congresso è un’occasione fondamentale per convocare le persone e per dare loro spazio, perché questo deve essere innanzitutto a ogni livello una convocazione delle persone e delle comunità a prendere parte, una convocazione a edificare quel Paese e quel pianeta della dignità e dall’esistenza libera e dignitosa (che richiama l’articolo 36 in merito alle retribuzioni) per tutte e tutti.

Ecco allora che se veramente vogliamo dare una svolta, le proposte ci sono, ma serve, come indicato nei materiali congressuali, dare priorità al coinvolgimento delle donne e al mettere al centro il lavoro di chi lavora nel mondo ACLI, una realtà dove la presenza delle donne prevale, ma che meglio vogliamo vedere come parte del fare le ACLI, nonché come questione cruciale su cui misurare il nostro saper essere d’esempio. Non è materia semplice, ma la complessità non è e non deve mai essere usata come un alibi. È, più in generale, un mondo ampio del Terzo settore, spesso schiacciato dal diminuire delle risorse pubbliche (con le difficoltà delle sue lavoratrici che questo taglio subiscono spesso di più e doppiamente perché tendenzialmente le più esposte, per la diffusa disparità nella coppia, a un conseguente aggravio del lavoro di cura familiare) e da un operare sotto stress, che è chiamato a un sussulto di valore da dare al lavoro e alla parità nel lavoro.

Si tratta di una pressione che, come evidenziano i dati pubblicati dal Forum Terzo Settore e da Open Polis sull’attuazione del PNRR (clic qui), presenta ampi tagli al sociale a conti fatti. Questo piano avrebbe dovuto essere e aveva in parte messo a tema un riscatto sociale e un aumento delle percentuali e della qualità del lavoro femminile, ma alla fine della fiera sull’occupazione si continua a propagandare cifre “senza l’oste”, celando, in ultimo, il restare al palo della lotta alla disparità nei numeri, nei salari e nella qualità della condizione (senza considerare che mediamente i redditi da lavoro – dati CAF di cui sopra, in “Lavoro Povero, Povero Paese” – dicono in 3 anni di una perdita media di 150 euro al mese).

È una lotta “che non può finire” per la libertà, la giustizia sociale e per la pace, un’azione nonviolenta che il disegno Costituzionale incarna e chiede a ognuno di noi di farsi carico; cominciando da noi, insieme, nelle ACLI.

La Costituzione è lotta alla disparità https://pop.acli.it/images/SETTEMBRE2024/shutterstock_2210306465.jpg Redazione POP.ACLI