Una dichiarazione di intenti piena di passione per la vita materiale e spirituale dei lavoratori e di leale collaborazione con l’attività del sindacato unitario, fin dall’inizio un pianerottolo...

Occorre riconoscersi in una passione comune per associarsi liberamente con qualcuno, per provare a fare un piccolo o grande cammino insieme nel grande fiume della storia.

La libera espressione di questa passione è stata vietata e perseguitata nella vita pubblica sotto il regime fascista, perché esso riteneva di poter guidare le coscienze delle persone verso la verità senza riconoscere la singolarità e la libertà degli uomini e delle donne, cui chiedeva solo obbedienza. Illusione, certo, ma perseguita anche con ferocia fino a perseguitare e ad uccidere chi non sottostava e si riuniva, clandestinamente, per opporsi a quella violenza.

Il 9 giugno 1944 venne firmato il Patto di unità sindacale a Roma, subito dopo la liberazione di Roma dai nazisti avvenuta il 4 giugno 1944.

«Il patto venne firmato da Giuseppe Di Vittorio per il PCI, Achille Grandi per la DC e da Emilio Canevari per la componente socialista; non poté firmarlo invece l'ex-segretario generale della CGdL, il sindacalista socialista Bruno Buozzi, che pure aveva partecipato sin dall'inizio alle trattative per la sua preparazione. Arrestato dai tedeschi e rinchiuso nella famigerata prigione di via Tasso, al momento della fuga delle SS da Roma fu prelevato dal carcere con altri tredici prigionieri la notte del 3 giugno 1944 e trasferito in camion sulla via Cassia; nel pomeriggio del 4 giugno in località La Storta, a pochi chilometri da Roma, fu trucidato assieme ai suoi compagni con un colpo di pistola alla testa (fatto di sangue passato alla storia come l'eccidio de La Storta). Per onorarne la memoria, sul testo del Patto fu apposta la data del 3 giugno 1944, che si riteneva inizialmente fosse stato l'ultimo giorno di vita di Buozzi» (tratto da wikipedia).

Allegato al patto di unità sindacale c’è un lungo documento voluto dalla corrente democratico cristiana, che specifica ulteriormente il carattere democratico del sindacato unitario, il quale recita al numero 5:
«L’esistenza del sindacato di diritto pubblico con i suoi compiti specificamente sindacali non esclude naturalmente che i lavoratori si organizzino in associazioni libere e private per scopi educativi, politici, assistenziali e ricreativi, ed in altre opere di carattere cooperativo e professionale».

Questa precisazione è importante perché si stava prendendo la decisione di fondare le Acli proprio come libera associazione privata con tutti gli scopi elencati.

Il 5 luglio 1944 furono scritte le norme relative alla costituzione e al funzionamento delle Acli e viene approvato uno statuto provvisorio. La nascita ufficiale avvenne a Roma dal 26 al 28 agosto 1944 nel convento di Santa Maria Sopra Minerva.  

L’articolo 1 dello statuto provvisorio dice:
«Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (A.C.L.I.) raggruppano coloro che, nell’applicazione della dottrina del Cristianesimo secondo l’insegnamento della Chiesa, ravvisano il fondamento e la condizione di un rinnovato ordinamento sociale in cui sia assicurato secondo giustizia il riconoscimento dei diritti e la soddisfazione delle esigenze materiali e spirituali dei lavoratori. Le Associazioni intendono promuovere l’affermazione dei principi cristiani nella vita, negli ordinamenti, nella legislazione, integrando ed affiancando l’opera dei sindacati unitari di categoria per tutto quanto esula dai compiti specifici riservati ai sindacati stessi ai quali intendono assicurare la completa e la più efficace partecipazione delle masse cattoliche».

Una dichiarazione di intenti piena di passione per la vita materiale e spirituale dei lavoratori e di leale collaborazione con l’attività del sindacato unitario, fin dall’inizio un pianerottolo su cui incontrarsi per dialogare per un bene comune: quello dei lavoratori. Una passione che accomunava democristiani, socialisti e comunisti in un tempo di ritrovata libertà nella Roma liberata, mentre per una parte d’Italia occorrerà aspettare quasi un altro anno per ritrovarsi tutti insieme.

Gli stessi schieramenti si ritrovarono poi, assieme ad altri nella Assemblea costituente, in cui si svolse un dialogo di alto livello culturale, che ha scritto nella Costituzione quei principi di libertà di cui ancora oggi godiamo.

In particolare, l’articolo 18 sancisce il diritto al libero associarsi:
«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Ad esso sono associati gli articoli 19 e 20 sulla libertà religiosa, l’articolo 39 sulla libertà di associarsi in sindacati e l’articolo 49 sulla libertà di associarsi in partiti.

Una chiarificazione importante fu avanzata dal Consiglio di Stato nel parere richiesto dai padri costituenti:
«Considera in proposito il Consiglio che il diritto di associazione è un diritto fondamentale di libertà, ma che manca nel diritto italiano una norma generale che espressamente lo riconosca. Bisogna certamente introdurla nella nuova Carta costituzionale, ma ciò deve essere in forma positiva e non con un semplice rinvio alle norme delle leggi generali e speciali».

Si giunse così alla formula attuale la cui attuazione nel tempo ha permesso il fiorire di un immenso e qualificato numero di associazioni nei più svariati campi di interesse delle persone.

Le Acli ne hanno usufruito per dare vita e partecipare a reti di associazioni con cui sviluppare insieme pensieri e azioni per il bene comune dei cittadini in senso ampio: in processi democratici come i referendum, in azioni di supporto a iniziative legislative come “Educare, non punire”, nell’azione per la pace, fondando il Terzo settore, l’Alleanza contro la povertà, solo per fare alcuni esempi più conosciuti.

La passione per le persone, per i cittadini, è stata il motore in tutte queste iniziative di dialogo all’interno della società italiana. Così è stato nel passato, ma lo è anche nel presente e lo sarà per il futuro, se la memoria dell’origine del riscatto dalla dittatura fascista e le motivazioni che l’hanno sostenuta, continueranno a vivere nelle nuove condizioni storiche che ci attendono.

Liberi di associarsi https://pop.acli.it/images/Oreste-Lizzadri-Achille-Grandi-Giuseppe-Di-Vittorio2.jpg Redazione POP.ACLI