Palma Plini era così: anzitutto schierata. Una che sta da una parte, e che non fa niente per dissimularlo. Per i lavoratori, per i poveri, per il Vangelo. Immigrata, operaia, cristiana, aclista, sindacalista, volontaria, femminista ante litteram, popolare e anche popolana, indomabile...

Palma Plini nasce il 22 aprile 1917 ad Amatrice, in provincia di Rieti. Muore a Milano il 22 agosto 2007.

È seconda di cinque figlie e rimane presto orfana. A quattordici anni Palma si trasferisce nella famiglia di una cugina di sua madre. Impara a leggere e scrivere da autodidatta.Incontra Teresa Vassena che la invita a compiere gesti di carità e don Gregorini che le domanda il motivo per cui li compie. 

Palma capisce finalmente che “essere innamorati di Gesù Cristo non vuol dire perdersi in tante cose banali, esteriori, ma vuol dire dedicare una vita” e nel 1937 entra nell’istituto di vita secolare di vita consacrata della Compagnia di san Paolo e nel 1940 pronuncia le promesse definitive.

Durante la guerra vive presso una casa per ferie della Compagnia vicino a Genova e si occupa di aiutare gli ebrei anche a rischio della vita. 

Nel 1945 va a Milano e comincia a lavorare per la mensa della Pirelli, ma sente stretto questo impegno sociale e dopo aver partecipato a un corso di formazione di 6 mesi con le Acli inizia a occuparsi della condizione delle domestiche promuovendo la loro alfabetizzazione con dei corsi Enaip. Nel 1953 inizia a lavorare in fabbrica alla Borletti dove rimane fino al 1965 condividendo come Simon Weil, su cui aveva fatto la tesi finale del corso di formazione appassionandosi alla sua vita, la condizione dei lavoratori. Tra il 1953 e il 1955 ha scritto un diario sulla sua esperienza in fabbrica, una testimonianza importante per prendere consapevolezza della condizione operaia di allora.

"Scioperare – racconta Palma – per certi cristiani era fare la lotta di classe. Per me è stata una cosa terribile perché lo sciopero era l’unico strumento a disposizione degli operai. Quando sono andata in fabbrica mi è rimasta solo la fede. Ho pregato in un altro modo, le cose le ho fatte diversamente. Mi sono fatta la convinzione che quello che conta è l’esperienza umana, che tu sia solidale, ti sporchi le mani, ti inserisci, stai insieme agli altri. Una fede povera, insomma, perché ho capito che la vita per le persone che non hanno strumenti è una tragedia" (tratto da www.palmaplini.it).

Dal 1950 in poi Palma Plini è iscritta alle Acli e partecipa da protagonista alle vicende dell’Associazione fino alla sua morte. La sua passione e dirittura morale, il desiderio di dialogare con tutti, in particolare con le donne, la sua fede concreta a volte la mettono in cattiva luce agli occhi di molti, ma Clerici, presidente delle Acli di Milano, e altri dirigenti la sostengono nel suo impegno in fabbrica, nel sindacato e nelle Acli. 

Nel 1972 va in pensione dalla Borletti, ma continua a lavorare per il sindacato per altri anni, sempre con uno stile “minore” ma molto vero, incontrando le persone là dove vivono. 

In pensione si occupa del Coordinamento donne delle Acli Lombardia promuovendo iniziative e riflessioni sulla condizione delle donne.

Per un approfondimento si può fare riferimento al sito e al documento

Di lei hanno scritto in molti. Un ricordo significativo è quello di Giovanni Bianchi dopo la sua morte intitolato “Palma Plini: Simon Weil alla Borletti”, di cui riporto alcuni brani:

“Dopo il pranzo le donne vanno in reparto e attendono l’ora di ripresa del lavoro. Si sdraiano in qualunque angolo, ma di preferenza vicino alle macchine più o meno scomposte, come animali da soma quando hanno lavorato troppo e dormono ovunque si trovino. Il lavoro è troppo pesante, fa perdere alla donna la sua dignità e produce un simile spettacolo”. È un brano dal “Diario di un’operaia” (1954 – 1957) che Palma Plini tiene una volta entrata in fabbrica alla Borletti. 

Così arriva a confidare nel 1981, ad Angelo Turchini, per il quaderno di “Realtà Sociale” delle Acli milanesi: “Io capivo che la promozione della classe lavoratrice, la storia del movimento operaio non era qualcosa da indottrinare, da andare a fare la predica alla gente, era quello di vivere insieme agli altri, di condividere la sofferenza e lottare insieme per poterci liberare”.

Nessun pietismo dunque in Palma Plini, ma una testimonianza indirizzata al fare, quella che corrisponde allo stare dalla parte di Marta, di quelli cioè che si affaccendano, e dalla parte di quella “rude razza pagana” di cui parlava Mario Tronti in “Operai e capitale”, il più bel libro del marxismo italiano del dopoguerra, pubblicato nel 1967.

Possiede dunque una sua verità la didascalia che le consorelle dell’Opera cardinal Ferrari le hanno dedicato sul retro dell’immagine funebre: “Ha fatto sua la preghiera della “povera gente” e, parafrasando il salmo 141,2, vedeva il fumo delle fabbriche salire a Dio come incenso”.

Ma non soltanto incenso scorgeva Palma nel fumo delle grandi fabbriche se già il 3 novembre del 1954, all’inizio del suo diario, scriveva così: “Quando una persona si presenta in fabbrica per domandare lavoro sente dentro di sé una grande umiliazione, perché sa di non essere accolta come collaboratore, ma come una cosa qualunque.

Ma Palma non demorde. Il 4 giugno del 1957 annota nel diario: “Non riesco a spiegarmi la mentalità degli operai in questo senso: l’aiuto agli amici viene considerato solo in funzione delle collette quando ci sono i morti, matrimoni, malattie ecc. Ma quello che non ho ancora notato è l’aiuto fraterno nel contatto che avviene nell’ambiente di lavoro, dove si vive e si soffre per identici motivi. Quando uno sbaglia difficilmente viene aiutato, difeso, illuminato. L’egoismo è palese quando si tratta di essere ben visti dai capi perché effettivamente si merita”.

Nei suoi scritti non troviamo soltanto un’esperienza autentica e sofferta, l’autenticità di una militanza appassionata e tesa, ma anche gli echi della dottrina sociale della Chiesa, in pillole, e molto di più… Palma Plini è stata per tutta la vita una militante (termine oramai passato indisuso) pur avendo occupato livelli dirigenziali medi all’interno delle Acli ed essere stata leader del Coordinamento regionale delle donne della Lombardia. 

Parto da una nota caratteristica che allude a tante altre: Palma Plini era “incontenibile”. Come per certi personaggi esuberanti di un certo mondo cattolico, oggi al crepuscolo o estinto, un Giorgio La Pira per esempio, sindaco santo subito di Firenze e primo presidente provinciale delle Acli fiorentine, si deve dire di Palma che risulta anche difficile da definire: in lei si raduna un grappolo di carismi, e a stento è sufficiente a descriverla il capitolo dodicesimo della Prima lettera aiCorinzi dell’apostolo Paolo.

La Palma era così: anzitutto schierata. Una che sta da una parte, e che non fa niente per dissimularlo. Per i lavoratori, per i poveri, per il Vangelo, e che tutti lo sappiano. Leggeva le cose, leggeva il suo mondo con la curiosità di capirlo, ma soprattutto con la voglia di cambiarlo. Discepola inconscia di un filosofo passato di moda, del quale molti tardi epigoni, in fuga dalla propria storia, si limitano oggi a descrivere questo mondo pensando che sia impossibile o inutile cambiarlo. 

Palma è incapace di demordere. Non pensa mai a tirarsi indietro. È popolare e anche popolana, con il suo udibilissimo accento da Italia centrale, e comunque non nordico. Immigrata. Attenta agli altri. Attenta a tutto. Non ci riuscirà mai di farla star zitta. Indomabile.

Palma vive con totale immedesimazione la vita di fabbrica. Non si tira mai indietro. Tutti sanno da che parte sta. Da operaia, da cristiana, da aclista, da sindacalista della Fim-Cisl, da volontaria e femminista ante litteram. Scrive quel suo diario sulla vita in fabbrica e lo pubblica. E la domenica? La domenica ai giardini di porta Venezia per raccogliere le domestiche immigrate dal Veneto e dal Mezzogiorno, organizzarle, dare loro la coscienza e la dignità delle collaboratrici famigliari.

La sua testimonianza si inquadra in quella che Giuseppe Dossetti, a metà degli anni Ottanta, chiamerà “sapienza della prassi”, per distinguerla da un andazzo para-democristiano che aveva invece il proprio imprinting nella figura del “servizio”. Testimoniare il regno di Dio, e non il regno dei valori. Niente di meno ieratico e di più profondamente cristiano di Palma Plini. Proprio per questo la sua figura risulta esemplare. Non c’è abbondanza di militanti sugli altari della Chiesa cattolica. 

Palma è loquace, ma non ridondante. Lontana da tutti gli orpelli, a partire da un abbigliamento sempre sobrio e mai ricercato. Come madre Teresa di Calcutta potrebbe ripetere: “Quel che non mi serve, mi pesa”. Così si stava allora in fabbrica dalla parte di Marta, così si dovrebbe stare oggi sul territorio e nel sociale. Con determinazione, e senza smancerie. Palma Plini aveva chiare le idee sulla radice e sull’orizzonte: “Perché la fede in fondo non ti dà delle indicazioni, ti fa fare delle scelte”.

Palma Plini donna di fede e di passione https://pop.acli.it/images/MAGGIO/Palma2_1.jpg Redazione POP.ACLI