Carboni è stato il Presidente dell’emergenza, della crisi e proprio nella conduzione della crisi ha dato il meglio di se stesso...

Marino Carboni nacque il 22 settembre del 1933 a Castel d’Aiano in provincia di Bologna ed è morto a Roma il 29 settembre del 1979, a 46 anni, per un raro tumore al cuore.

Fin da giovane si iscrive alla Democrazia Cristiana. A 19 anni si trasferisce a Milano per studiare alla Cattolica nella facoltà di Scienze Politiche. Alla fine del 1955 viene chiamato da Livio Labor a Roma per dargli la Segretaria della Scuola Centrale di formazione. Da in poi la sua attività nelle Acli si realizza in una amicizia e collaborazione sincera con Labor, fino a diventare a sua volta Presidente.

L’ambizione della Scuola centrale di formazione: «era quella di plasmare uomini e donne con spirito di servizio, senso di responsabilità, entusiasmo e radicati ideali, con l’obiettivo ultimo di rendere il Movimento omogeneo a livello nazionale per preparare una nuova classe dirigente, espressione dei lavoratori cristiani, per il Movimento operaio e per le Acli» (F. Volpi (a cura di), Marino Carboni, Profili. Uomini e donne delle Acli, Editoriale Aesse, Roma 2001, p. 7)

«La scuola centrale, nei vari aspetti culturali e umani, rappresentava l’applicazione pratica di uno dei principi basilari nella vita del Movimento, e cioè che l’azione sociale è inscindibile da una seria, capillare ed efficace formazione e viceversa» (Marino Carboni, p. 9)

Si trovò all’opposizione con Labor, Geo Brenna e poi anche con Domenico Rosati e fondarono il MOC:  «L’iniziativa del quaderno era messa al servizio di tutte le Acli, un Movimento che per natura ed esperienza era in grado di elaborare una sintesi nuova, culturale e spirituale, prima che organizzativa e operativa sui problemi del Movimento operaio e della società italiana, ma di cui pure occorreva tutelate l’unità, l’autonomia e la continuità di linea» (Marino Carboni, p. 14)

Nel 1963 Labor divenne Presidente e Carboni Segretario centrale responsabile dell’organizzazione:

«Nel gruppo del Presidente, Carboni occupava un posto di primo piano: in un certo senso rappresentava il suo alter ego, colui che era in grado di stemperare, con l’inclinazione ad evidenziare gli aspetti umani delle relazioni, i tratti più ruvidi di Labor, permettendogli così di ottenere anche quello che personalmente non gli era riuscito» (Marino Carboni, p. 16)

Per quanto riguarda lo sviluppo dell’organizzazione: «Egli intese fin da subito gestire l’organizzazione non come un fatto puramente burocratico o tecnico ma come il necessario riflesso del modo di essere del Movimento, della sua presenza nella realtà con idee e iniziative, della sua capacità di porsi obiettivi chiari e perseguibili rispetto alle esigenze del mondo del lavoro e della società moderna. L’inefficienza organizzativa era sintomo, per lui, di scarsa incisività del Movimento: quest’ultimo, infatti, doveva organizzarsi secondo la politica generale dell’Associazione» (Marino Carboni, p. 17)

Dopo le vicende che coinvolsero le Acli tra le dimissioni di Labor e la presidenza Gabaglio, questi indica come suo successore Marino Carboni, in quanto meno esposto rispetto a Rosati che lo sostenne con lealtà fino a succedergli qualche anno più tardi

«Nel suo discorso di accettazione, Carboni, dopo aver riconosciuto che la sua elezione era dovuta principalmente alle difficoltà attraversate dal Movimento, rassicurava tutti  sull’intenzione di tenere ben ferme le scelte compiute nel precedenti congressi di Torino e di Cagliari e di voler tendere all’unità che egli riteneva “il bene più importante da salvaguardare: non l’unità nel conformismo e nell’appiattimento opportunistico delle posizioni, ma l’unità nella distinzione e nel confronto continuo, nel dibattito costruttivo, nella costante proposizione e scoperta di nuove sintesi”. Di più le Acli vengono presentate, per la prima volta dal nuovo Presidente, come “luogo di incontro, di dibattito e di confronto tra le forze di comune ispirazione e tra le componenti del Movimento operaio e popolare» (Marino Carboni, p. 25)

Difficoltà del Movimento e necessità di offrire una chiara linea da perseguire «senza mai perdere di vista i fondamenti dell’organizzazione, che, sebbene aggiornati, continuavano ad essere l’autonomia, il non-collateralismo, l’anticapitalismo, la scelta di classe, la lotta per l’unità sindacale, l’impegno per le riforme, per le istituzioni democratiche, per una nuova cultura e, quindi, per una nuova società. Scopo ultimo ed affermato della Presidenza: ricondurre tutto il Movimento all’unità» (Marino Carboni, p. 28)

Domenico Rosati lo ricorda così nell’intervista su Profili:

«Di suo Carboni metteva in quello che faceva una straordinaria capacità di comunicazione umana, di attrazione per le persone, di confidenza spontanea che spingeva le persone a considerarlo, dopo due o tre incontri, come una persona di famiglia […] Carboni rappresentava il suo (di Labor) lato buono, addolciva gli aspetti rudi di Labor e dava consigli pratici, alla maniera bolognese. Aveva un suo tratto più pragmatico, molto meno ideologico: credeva nelle cose e le faceva, però senza strafare o, come dicevamo noi allora, senza sudare» (Marino Carboni, pp. 40-41)

Prosegue Rosati nella sua testimonianza:

«Carboni è stato il Presidente dell’emergenza, della crisi e proprio nella conduzione della crisi ha dato il meglio di se stesso; e non tanto con gli scritti e i discorsi, quanto con la capacità di entrare nelle situazioni, di analizzarle, sminuzzarle, stabilire i collegamenti esatti e di trovare il punto di convergenza: vera attività di governo dell’organizzazione e della sua crisi politica. Carboni aveva il tratto umano dell’intesa, a volte persino della complicità, nel senso politico-positivo del termine» (Marino Carboni, p. 50)

Conclude Rosati: «Ho sempre invidiato questa sua grande carica umana, queto suo modo di costruire un sistema di relazioni pre-politiche e post-politiche, che sono poi le relazioni vitali dell’umanità» (Marino Carboni, p. 52)

Questo tratto lo si può ritrovare anche nella relazione conclusiva del XIII congresso nazionale di Firenze del 1975, in cui Carboni affermava:

«Cari amici, il XIII Congresso nazionale, che stiamo concludendo segna, senza alcun dubbio, una vittoria delle Acli. Sono stati giorni intensi, che hanno registrato – e anche gli osservatori esterni ne sono rimasti colpiti – un salto di qualità rispetto alle nostre più recenti occasioni di confronti interno.

Il dibattito c’è stato, aperto e serrato, e non sono certamente mancate le differenziazioni e, in taluni aspetti, anche le contrapposizioni. La novità sta però nel fatto che questo confronto ha conosciuto toni nuovi, caratterizzati da uno sforzo di rispetto reciproco, e da un atteggiamento maturo e responsabile come l’occasione a tutti richiedeva» (Marino Carboni, p. 63)

Una amicizia coltivata nel tempo con il suo tratto umano bolognese che ha permesso alle Acli, nella ricmposizione, di superare un’altra crisi o, se vogliamo, una svolta nella propria storia e in quella del paese, per mettere al servizio di tutti quell’autonomia critica e quell’impegno per una società migliore di cui le Acli sono sempre state testimoni fedeli nel tempo.

Per approfondire:

F. Volpi (a cura di), Marino Carboni, Profili. Uomini e donne delle Acli, Editoriale Aesse, Roma 2001.

Marino Carboni https://pop.acli.it/images/SETTEMBRE2024/Marino_Carboni_ridimensionata.jpg Redazione POP.ACLI