Usare l’ironia, per sopravvivere a una situazione opprimente, è uno stile di vita per gli ebrei, inguaribili ottimisti...

«Dice un bellissimo proverbio ebraico: L’uomo pensa. Dio ride […] Mi diverte pensare che l’arte del romanzo sia venuta al mondo come eco della risata di Dio. Ma perché Dio ride guardando l’uomo che pensa? Perché l’uomo pensa e la verità gli sfugge» (M. Kundera, L’arte del romanzo)

Si può fare ironia sulla shoah? La domanda è pertinente, perché se lo fa Dio anche l’uomo lo può fare, e in particolare un ebreo che ironizza con sagacia fulminante su Dio che non è all’altezza del suo compito nell’arginare il male nel mondo e su se stesso che tenta di sostituirsi a Dio nel riparare il mondo che non funziona.

La stessa Bibbia è intrisa di ironia che non ferisce mai l’interlocutore, ma che aiuta a cogliere fatti e vicende da inaspettati, spiazzanti e originali punti di vista.

Il film Train de vie – Un treno per vivere ne è un esempio riuscito. Il regista Radu Mihăileanu, di origini ebraiche, si inventa un racconto in cui gli abitanti di un villaggio ebraico (shtetl) durante la seconda guerra mondiale, per sfuggire alla deportazione, organizza la propria finta deportazione su un treno per raggiungere la terra promessa di Palestina.

Il film presenta vari personaggi tipici di un villaggio ebraico, tra gli altri Shlomo – lo schnorrer, cioè lo scemo/pazzo del villaggio – che dispensa sapienza nei momenti cruciali della storia, il rabbi del villaggio, l’economo della comunità che è sempre preoccupato delle troppe spese, e così via.

Ma l’ironia della scena finale è difficile da rendere proprio perché è una ironia fine. Schlomo racconta come finisce la storia, come si salvano i suoi compaesani, chi di qui e chi di là in giro per il mondo. L’inquadratura si allarga e si vede Schlomo dietro un filo spinato di un campo di concentramento vestito con una casacca a strisce che conclude il suo racconto: «ecco la vera storia del mio shtetl, bè: quasi vera» E poi intona questa filastrocca: «Shtetl, shtetl, shtetele, non ti scordar di me, "shtetele", sono partito un giorno in treno, per andare molto lontano. Shtetl, shtetl, shtetele, non cancellare gli occhi delle persone, questo è ciò che mi tiene ancora in vita, la loro sublime follia, la loro sublime follia. Train de vie».  Letteralmente train de vie significa: treno della vita, ma è anche un modo di dire francese che si può tradurre con: stile di vita.

Usare l’ironia per sopravvivere a una situazione opprimente, è uno stile di vita per gli ebrei, inguaribili ottimisti che il loro Dio li salverà anche questa volta, come ha sempre fatto in passato, forse con un po’ di ritardo.

Di altro tenore è il film La vita è bella di Roberto Benigni, che tramuta in un gioco la vita in un campo di concentramento. Pur mostrando l’orrore, il film è un delicato racconto che l’amore di un padre trasforma in una vita possibile, quasi un gioco, agli occhi innocenti di un bambino.

Se Schlinder list è un film che non risparmia nulla della crudeltà del nazismo, ha tuttavia anche un aspetto ironico. La corruzione del capo nazista con i soldi di alcuni ebrei che hanno finanziato Schlinder nella sua impresa alla fine salva gli ebrei che, nell’immaginario, vengono descritti come persone attaccate ai soldi. Un’inversione di ruoli che mostra la possibile ironia della vita.

L’ironia e l’umorismo sono un tratto caratteristico di quelle persone che prima di tutto non prendono troppo sul serio se stesse, consapevoli dei propri limiti, stranezze e originalità senza esserne schiacciati. E proprio a partire da questa consapevolezza su di sé possono posare uno sguardo ironico sugli altri senza ferirli nelle loro fragilità e inconsistenze.

Papa Francesco invita le persone ad affrontare la vita con senso dell’umorismo: “È una medicina. Il senso dell’umorismo ti fa relativizzare le cose e ti dà una grande gioia. Questo fa tanto bene”, tanto che egli recita ogni giorno la Preghiera del buonumore di Tommaso Moro:

Dammi o Signore, una buona digestione ed anche qualcosa da digerire. / Dammi la salute del corpo, col buonumore necessario per mantenerla. / Dammi o Signore, un’anima santa, che faccia tesoro di quello che è buono e puro, affinché non si spaventi del peccato, ma trovi alla Tua presenza la via per rimettere di nuovo le cose a posto. / Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama “io”. / Dammi, o Signore, il senso dell’umorismo, concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un po’ di gioia e possa farne parte anche ad altri.

L’umorismo è anche un segno di santità che ciascuno di noi può vivere:  Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17)” […] Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità (Gaudete et exultate, Esortazione apostolica del Santo padre Francesco sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, 122.126)

Ironia e Shoah: si può? https://pop.acli.it/images/comico_ebreo.jpg Redazione POP.ACLI