Il punto sull’impegno del mondo non profit e delle Acli in tema di detenzione...

L’impegno delle Acli e di tutte le sue articolazioni per e nelle carceri è assai noto. Avendo una nutrita esperienza, l’Associazione ha ritenuto utile e importante approfondire il ruolo che il Terzo settore ha in questi luoghi, attraverso un’analisi cadenzata e regolare.  Il primo rapporto “Al di là dei muri” ci consegna dunque le prime evidenze di una ricerca pilota - a cui ne seguiranno altre - che ha l’obiettivo di fare il punto sull’impegno del mondo non profit in tema di detenzione, guardando tanto dentro quanto fuori dalle Acli, e di individuare piste di lavoro per le successive edizioni del Rapporto con un focus particolare sull’importante tema della re-entry.

Occorre sottolineare che non è semplice entrare in contatto con le organizzazioni impegnate nelle carceri, perché la maggior parte sono piccole, alcune poggiano solo sul lavoro volontario, mentre altre non hanno come attività principale lo sviluppo di servizi legati alla detenzione o come target principale i reclusi, anche se di fatto offrono un importante contributo a favore di queste persone e non di rado anche ai loro familiari. Nonostante questa difficoltà, il Rapporto restituisce però un interessante affresco dell’impegno della società civile organizzata in questo ambito.

Con una serie di attività che vanno dall’esigibilità dei diritti alla consulenza fiscale; dall’istruzione alla formazione e inserimento lavorativo; dalla proposta artistico/culturale allo sport, le Acli e le altre associazioni intervistate svolgono un importante ruolo nell’alleviare la sofferenza delle persone che abitano i luoghi di detenzione e nel reintegrali nella società. In molti casi, come nelle Acli, le organizzazioni non profit sono capaci di creare e offrire un’ampia gamma di attività e servizi, garantendo un sistema integrato di interventi e di prestazioni sociali. Vista la poliedricità dell’offerta e l’indipendenza dal sistema giudiziario e dal vincolo della burocrazia, i detenuti considerano le risposte offerte dalle organizzazioni del Terzo Settore più accessibili, utili e attendibili anche per quanto attiene le attività volte alla re-entry, praticamente in mano alle organizzazioni della società civile e ai loro volontari.

Ma le organizzazioni della società civile hanno anche un importante ruolo di advocacy, poiché rappresentano e sostengono il punto di vista dei carcerati e delle loro famiglie. E’ un peccato che non vengano adeguatamente considerate dalle istituzioni benché abbiano molta esperienza sul campo; potrebbero infatti essere dei preziosi collaboratori del Ministero di Giustizia nella fase di sviluppo di strategie e di programmazione delle attività e dei servizi a favore dei detenuti.

Infine, le organizzazioni di Terzo Settore svolgono un importante lavoro di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini per scardinare tutti quei pregiudizi che “incatenano” gli ex carcerati una volta usciti dai luoghi di detenzione, aumentando le probabilità di recidiva. Non è un caso che in Italia il tasso di recidiva sia molto alto: il 62% dei detenuti ha avuto almeno un’altra condanna, il 18% almeno altre 5. In pratica, solo il 38% delle persone transitate in carcere è alla prima condanna. Ciò significa che più di due persone su tre, una volta uscite, commettono un nuovo crimine e vi ritornano.

Insomma, come è più volte emerso nell’indagine, si può affermare che il Terzo settore ha caratteristiche peculiari che lo rendono diverso dallo Stato e dal Mercato, non tanto per le cose che fa ma per come le fa. Da una parte ha la capacità di dare risposte integrate a problematicità complesse con un elevato grado di innovazione, dall’altra parte, con la pluralità di figure lavorative messe a disposizione, rappresenta un importante figura ponte tra carcere e comunità, dentro e fuori le mura, passando attraverso il cancello senza alcuna soluzione di continuità.

Uno dei motivi dell’alta percentuale di recidiva che caratterizza la detenzione del nostro paese è che si spende davvero poco sul fronte rieducativo e di reinserimento nella società dei detenuti: solo 6,8 milioni di euro sono messi a disposizione per le attività rieducative, ovvero 0,35 euro al giorno per ogni carcerato, una cifra irrisoria rispetto alla spesa complessiva destinata al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (3,2 miliardi).

Un importante anticorpo per rispondere al problema della recidiva è la preparazione alla libertà sin dal primo giorno di detenzione, proprio perché chi esce dal carcere deve ricominciare la propria vita da capo, a partire da dentro le mura. Non di rado, infatti, per le difficoltà incontrate, alcuni detenuti sostengono che ricominciare fuori possa essere talvolta peggiore che rimanere dentro. In questo quadro, le misure alternative alla detenzione come la semilibertà, la liberazione anticipata, la detenzione domiciliare e, in particolare, l’affidamento in prova ai servizi sociali, sono un ottimo “allenamento” che consentirebbe al detenuto di riprendere o di non perdere i legami con il mondo esterno.

Sia nelle Acli, sia nelle altre organizzazioni analizzate, l’affidamento in prova sta lentamente prendendo piede, ma si potrebbe lavorare molto di più in questa direzione. Infatti, oltre ad un argine al sovra-popolamento dei luoghi di detenzione, diversi sono i vantaggi di questo approccio che valorizza la giustizia riparativa.

Lavorare a stretto contatto con la comunità allarga l’orizzonte del detenuto, ma anche quello delle persone che incontra e con cui lavora che intravedono nel detenuto sì una persona che ha sbagliato, ma anche una disponibile a rimediare ai propri errori. Lo stigma spesso dato ai detenuti può infatti in alcuni casi estremi portarli addirittura al suicidio. E’ dunque fuor di dubbio che non la segregazione ma solo l’accoglienza possa ricucire il tessuto sociale strappato dalla trasgressione, a vantaggio del condannato e della società da cui proviene e in cui dovrà essere reinserito.

Un altro importante elemento è che il detenuto riesce a mantenere i rapporti sociali, soprattutto quelli familiari. Spesso non si considera che la reclusione genera una doppia sofferenza, quella del condannato, ma anche quella dei familiari. Il forte strappo ai primordiali rapporti familiari rende spesso ancor più difficile il reinserimento sociale.

Un’ulteriore questione da tenere in considerazione è che, soprattutto per i detenuti più giovani, i luoghi di pena alternativa, anziché diventare “un’accademia del crimine” in cui i colpevoli di reati più gravi coinvolgono i nuovi arrivati, diventano luoghi di rieducazione vera e di allontanamento da “proposte” devianti.

Infine, vista l’atavica carenza di fondi volti alle attività di re-inserimento da svolgere all’interno delle strutture carcerarie, è evidente che la re-integrazione dei detenuti possa essere svolta con efficacia solo all’esterno delle mura, valorizzando la collaborazione del Terzo Settore e, perché no, anche del privato. Qualche attività rieducativa, di fatto, viene anche proposta nelle case circondariali, ma molti detenuti non riescono ad accedervi per scarsità dei fondi, sovra-popolamento e cattiva organizzazione. Pensare dunque che il sistema penitenziario lo possa fare al suo interno è difficile; senza appoggi esterni, praticamente impossibile.

A fronte di queste considerazioni e del dato secondo cui il 68% dei condannati che scontano la pena in carcere torna a delinquere, contro il 19% di quelli che usufruiscono di misure alternative, l’invito al Terzo Settore è di ricorrere con maggiore convinzione all’accoglienza dell’attività di rieducazione nelle proprie strutture, piuttosto che continuare a confinarla a riparo dagli occhi della società.

Al di là dei muri https://pop.acli.it/images/carcere.jpg Redazione POP.ACLI