Il 28 settembre scorso si è svolta a Roma, promossa dal Forum nazionale del Terzo settore, la prima Giornata dell’associazionismo...

Come recita l’appello che accompagnava l’iniziativa “Le due grandi emergenze globali che l’Italia ha dovuto affrontare negli ultimi anni, ovvero la pandemia e la guerra in Ucraina, hanno reso evidente il ruolo insostituibile del Terzo settore e della promozione sociale. Le APS (Associazioni di Promozione Sociale) hanno dato corpo al senso di responsabilità collettiva delle persone, promuovendo il volontariato, progettando e realizzando attività a sostegno delle comunità”. 

Lo scopo più importante dell’evento era mettere al centro del confronto col Governo alcuni temi prioritari per la sostenibilità, se non la sopravvivenza di queste realtà:

- Alleggerimento degli oneri amministrativi e burocratici previsti per le associazioni di piccole dimensioni;

- Semplificazione delle procedure di iscrizione, aggiornamento delle informazioni e deposito degli atti nel RUNTS;

- Ripristino del “fuori campo IVA” per le attività mutualistiche delle associazioni nei confronti dei soci;

- La deducibilità Irap del costo del lavoro per allineare gli Enti del Terzo Settore non commerciali alla pressione, molto meno onerosa, prevista oggi per le società commerciali.

Temi toccati soprattutto dall’intervento del nostro Presidente, Emiliano Manfredonia che ha messo in luce quanto questi aspetti siano fondamentali per consentire che le persone e le nostre comunità vivano il mettersi insieme in associazioni e gruppi, per avere un tessuto di socialità senza il quale il corpo sociale smarrisce la dimensione solidale che lo tiene insieme.

Soprattutto il piccolo associazionismo, del quale le reti nazionali come le ACLI sono interpreti e rappresentanti, vive (o meglio sopravvive) principalmente dell’attivismo dei propri soci, attivismo per altro al centro del X Rapporto sull’Associazionismo dell’IREF, l’Istituto di ricerca della ACLI, il cui disegno è stato brevemente illustrato dai ricercatori Andrea Casavecchia, dell’Università Roma Tre e da Alessandro Serini di IREF.

L’attivismo tuttavia si sostanzia nella partecipazione e nel contributo economico col quale i soci si fanno parzialmente carico delle spese delle attività alle quali prendono parte. E’ vero che queste non sono le uniche risorse a disposizione, ma altre fonti come le raccolte fondi sono specificatamente mirate a progetti particolari, sovente rivolti a situazioni di emergenza o di bisogno, mentre l’attività ordinaria della gran parte del mondo del Terzo settore, che è composto da associazionismo locale, si basa sul volontariato e sul contributo economico dei soci stessi a supporto di specifiche attività (per esempio: la quota per la partecipazione al campo estivo, il contributo per il caffè o per partecipare a un corso o altra attività…) e a copertura dei costi fissi dell’associazione. Sono costi che la sola quota associativa non riesce assolutamente a coprire, visto anche che essa deve essere necessariamente accessibile a tutti, altrimenti si è fuori dal Terzo settore e si entra nelle categorie dell’associazionismo stile club per pochi.

E’ importante sottolineare che queste condizioni rendono fattibile e concreto il diritto alla libertà di associazione sancito sia dalla Costituzione (art 18) che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art 12). Diversamente il diritto di associarsi resta concretamente alla portata solo di chi se lo può permettere e quindi cessa di essere un diritto e diventa un privilegio.

Evidenzio questi aspetti per ritornare su un concetto espresso altre volte ovvero che se quelle quattro richieste non vengono soddisfatte ci troveremo sempre più in un Terzo settore appannaggio di grandi piattaforme e soggetti e sempre meno di un associazionismo che nasce e si radica a livello popolare, e avverrebbe qualcosa di simile a quanto sta avvenendo con la grande distribuzione e con Amazon a scapito del piccolo commercio.

Una tendenza che in questo caso sarebbe però immensamente più grave perché qui parliamo della radice della democrazia. Aldo Moro nel discorso all’Assemblea Costituente (i Tre pilastri) rimarca la centralità di quelli che oggi sono i primi tre articoli della Costituzione citando appunto, proprio per il carattere antifascista della stessa, tra i tre pilastri, insieme alla libertà della persona e alla democraticità e socialità dello Stato, l’autonomia delle formazioni sociali. Autonomia che se caricata eccessivamente di adempimenti o se dipendente dalle concessioni delle maggioranze di turno cessa concretamente di esistere.

E’ in particolare l’imposizione dell’Iva per i contributi supplementari dei soci, che entrerà in vigore dal prossimo luglio, a farci gridare allo scandalo, perché è vero che le norme consentono di poter passare a forme di esenzione, ma oltre ai maggiori adempimenti dovuti alla tenuta dell’Iva e al rischio che alcune attività come la somministrazione di alimenti e bevande non ci rientrino se non limitatamente, va ricordato un aspetto costituzionalmente rilevante. Mi riferisco al fatto che la concessione dell’esenzione non è il riconoscimento di un diritto a autofinanziarsi come soci e quindi ad essere autonomi e a veder così concretamente garantita la libertà di associarsi, ma dipende dal fatto che il legislatore di turno riconosca o meno l’utilità di quello che fai, sottomettendo così l’autonomia della formazione sociale alla volontà dello Stato. E così disintegrandola.

Giova ricordare che Moro affermava la sacralità dell’autonomia delle formazioni sociali (art 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…) al pari del ruolo dello Stato e della libertà della persona, perché i fascisti in Parlamento ci entrarono a braccetto di altre forze (Giolitti in particolare) e che il loro essere dittatura si sostanziò nell’uso della violenza, annullando le libertà e particolarmente sottomettendo allo Stato le forme di associazione e riunione. Inquadrare l’autofinanziamento dei soci al pari di un servizio o un bene venduto da un’impresa come fa il legislatore oggi è offensivo e colpisce a fondo il diritto e l’autonomia dell’associazionismo.

La nostra è allora una vertenza per la democrazia e non un mero contrattare qualche semplificazione.

28 settembre: Giornata dell’associazionismo https://pop.acli.it/images/Giornata_associazionismo_2023.png Redazione POP.ACLI