A Roma la manifestazione femminista contro la violenza di genere...

Un lungo corteo all’insegna del colore viola (storicamente associato alla lotta delle donne per la parità), che dopo il raduno a Circo Massimo si incammina sfidando il freddo pungente di un sabato pomeriggio romano: così appariva la manifestazione del 25 novembre, lanciata dal movimento “Non Una Di Meno”. Una manifestazione che ha riunito generi e generazioni, condizioni sociali e credi politici diversi intorno all’esigenza di contrastare la violenza di genere e fermare i femminicidi. Una bella prova di civiltà, di fronte alla barbarie raccontata dalle cronache degli ultimi giorni.

Il 25 novembre non è stato, specie quest’anno, una sterile ricorrenza ma l’occasione per dire basta ad ogni forma di violenza contro le donne e che no, non è accettabile che in Italia una donna muoia per mano di un uomo ogni tre giorni. Un uomo che spesso ha o ha avuto – incredibile a dirsi – una relazione di intimità con la vittima. È stato l’appello alla coscienza di un Paese, che per definirsi civile deve tagliare definitivamente i ponti con una visione maschilista e proprietaria delle donne e delle relazioni, che ci allontana in modo drammatico dall’alleanza paritaria tra i due generi, necessaria al benessere personale così come al progresso culturale, sociale e perfino economico della nostra Penisola. Gli uomini sono stati chiamati ad unirsi in questa lotta e a mostrare prossimità e vicinanza nei piccoli gesti, che poi così piccoli non sono, perché ciascuno può essere protagonista di una “rivoluzione” rivedendo il proprio comportamento.

La violenza, infatti, non è solo fisica, ma si nutre anche di atteggiamenti solo apparentemente innocui: il commento per strada, la pacca sul sedere, le discussioni nei social sugli attributi femminili, ecc., sono tutte forme di limitazione della libertà femminile sulle quali si può intervenire attivamente, anche stigmatizzando il collega, l’amico, il vicino, il passante che ha questo tipo di comportamento. Da questo punto di vista, ogni giorno è il 25 novembre: l’occasione buona per relegare ai margini violenze, sopraffazioni e maltrattamenti.

Senza con ciò dimenticare che esiste una responsabilità più collettiva, che chiama in causa tutta la comunità educante: istituzioni, famiglie, scuola, luoghi di lavoro, Chiesa, Terzo settore, mass media hanno tutti un ruolo importante da svolgere nel superamento degli stereopati circa le relazioni di genere, dei pregiudizi e degli evitamenti, fino alle forme di vittimizzazione secondaria. La violenza maschile contro le donne è infatti un problema strutturale che richiede un’azione di contrasto altrettanto strutturale, frutto di una paziente tessitura di alleanze tra istituzioni e tessuto sociale in grado di garantire, nel rispetto delle specifiche competenze, la presa di coscienza del fenomeno e un approccio coordinato e condiviso al suo contrasto.

Ovviamente, spicca il ruolo del legislatore, al quale è demandato il compito di stabilire norme di diritto e misure che possano essere effettivamente implementate a tutela delle cittadine di questo Paese. Al legislatore segnaliamo l’esigenza di prevedere una legge quadro, che raccolga e armonizzi in modo organico l’insieme delle leggi varate che hanno attinenza con le varie forme di violenza di genere. Ma è la politica tutta che deve sentirsi ingaggiata, perché – come sempre – per l’effettiva e completa applicazione delle leggi occorrono strumenti idonei e risorse sufficienti, e ciò non trova riscontro nei fondi inadeguati per i centri antiviolenza o nella scarsa attenzione riservata, ad esempio, ai centri per uomini maltrattanti.

Come Coordinamento Donne Nazionale delle ACLI siamo da sempre impegnate su questo fronte, avendo anche realizzato percorsi di formazione per essere agenti di sensibilizzazione nei territori e vigili antenne pronte a cogliere segnali di disagio femminile. Di recente abbiamo promosso una ricerca sulla disparità salariale di genere, «Lavorare Dis/Pari», pubblicata dal Corriere – Buone Notizie, per evidenziare come il gender pay gap rappresenti una forma di violenza economica, che sottrae margini di autonomia alle donne, spesso prive di un lavoro dignitoso non solo rispetto alla retribuzione.

Ma oggi sentiamo ancor più forte il bisogno di coinvolgere tutte le ACLI in questa battaglia, affinché si facciano promotrici di percorsi di sensibilizzazione rivolti a tutto il mondo adulto chiedendo ai singoli, ai circoli e a tutte le realtà dell’associazione, presenti nei diversi territori, di divenire attori di questo cambiamento.

«Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima»: è un verso della nota poesia di Cristina Torre Cáceres, che in questi giorni è diventata virale, con la potenza evocativa che solo la letteratura sa avere. Siamo consapevoli che ancora molto resta da fare perché il contesto in cui viviamo diventi un ambiente non giudicante, sensibile, accogliente e culturalmente consapevole. Ma il nostro auspicio, che è anche un impegno, è che domani non tocchi più a nessuna e che ogni donna di questo Paese possa sentirsi libera e sicura.

 

 N. 11-12 novembre-dicembre 2023

25 novembre: in marcia contro la violenza https://pop.acli.it/images/manifestazione_25_nov.jpg Redazione POP.ACLI