L’impegno di tutte le Acli di Europa e del mondo in vista delle elezioni europee del prossimo anno è cominciato a Monaco...

L’impegno di tutte le Acli di Europa e del mondo in vista delle elezioni europee del prossimo anno è cominciato a Monaco di Baviera dove dal 18 al 20 novembre più di 100 aclisti hanno partecipato al seminario internazionale sul futuro dell’Unione Europea promosso insieme alla rete EZA e alla KAB tedesca.

Sono stati tre giorni molto intensi e divisi in tre momenti significativi. La prima parte è stata dedicata a un’esperienza toccante, fortemente legata alla scelta di investire sull’integrazione europea: la visita del campo di concentramento di Dachau. È molto stretto il legame tra quegli eventi tragici e l’impegno per proseguire e rafforzare la relazione tra i paesi poiché l’Olocausto è in parte la causa di quello che Romano Guardini indicò come uno degli scopi dell’Europa: «Perciò io credo che il compito affidato all’Europa – compito il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all’essenziale – sia la critica della potenza. Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia, ad essa è affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane indeciso dove condurrà».

La visita a Dachau è stata un’esperienza toccante, profonda che ci ha messo a nudo di fronte al conflitto che spesso percepiamo lontano da noi, ma che in qualunque momento ci potrebbe travolgere come ancora vediamo alle porte del nostro continente.

Ad un momento di riflessione così intenso, è seguito uno straordinario incontro di convivialità e amicizia. A Charleroi le Acli - che hanno ospitato il seminario - hanno organizzato una bellissima serata per far conoscere la propria realtà e le proprie attività oltre che per  ribadire un concetto per noi fondamentale: la dimensione internazionale, che rimane sempre ancorata al territorio e alla vita quotidiana delle persone.

L’Europa non è scontata ma necessaria, deve tornare ad essere popolare e solo grazie alla cooperazione tra paesi possiamo affrontare questo compito garantendo pace e sviluppo sostenibile. Ma l’Europa ha perso il suo appeal, la sua capacità di generare speranza. Abbiamo il compito di ricostruire attorno a tre parole semplici, patrimonio di tutti quelli che hanno a cuore un nuovo umanesimo, una idea di Europa connessa alla vita delle persone: pace, lavoro, uguaglianza. Ripartire da questo significa tornare all’essenza del sogno europeo, nato non solo per mettere in comune valori economici ma per umanizzare l’economia.

Su questa traiettoria abbiamo programmato la seconda parte del seminario che è stata molto ricca: Cinzia Del Rio, presidente della commissione sociale del Cese, Reiner Braun, coordinatore delle attività dell’International Peace Bureau e Maria Cristina Pisani presidente del Consiglio nazionale dei Giovani in Italia che si occupa del dialogo sociale tra l’Unione Europea e il nostro Paese ci hanno aiutato ad allargare lo sguardo rispetto alle strategie che l’Unione Europea deve mettere in campo sul suo ruolo nel mondo, sulla lotta alle disuguaglianze e sui diritti sociali.

Sono emersi molti spunti di riflessione. La commissione si è posta tre obiettivi principali su questo tema per la fine del decennio: almeno il 78% della popolazione di età compresa tra i 20 e 64 anni dovrebbe avere un lavoro, almeno il 60% di tutti gli adulti dovrebbero partecipare ogni anno all’attività di formazione, il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale dovrebbe essere ridotto di almeno 15% entro il 2030 (erano 91 milioni nel 2022).

Sul salario minimo c’è bisogno di un passo in avanti: garantire che i salari minimi legali assicurino a ciascun lavoratore una qualità di vita dignitosa e comparabile in tutti gli Stati membri. Dovrebbero essere stabiliti criteri chiari (ad esempio il costo della vita, l’inflazione, il livello al di sopra della soglia di povertà, il salario medio e il salario mediano a livello nazionale) da prendere in considerazione nel fissare il livello dei salari minimi e dovrebbero essere rivisti periodicamente alla luce di tali criteri al fine di assicurarne l’adeguatezza.

In generale occorre prendere provvedimenti per garantire che i diritti sociali siano pienamente tutelati e salvaguardati in caso di conflitto rispetto alle libertà economiche, anche attraverso l’introduzione di un protocollo sul progresso sociale nei trattati.

Il fondo sociale europeo con 88 miliardi continua essere il principale strumento per sostenere l’attuazione del bilancio sociale e conseguire obiettivi principali. A fronte di questo grande impegno e di questi grandi obiettivi si sta sgretolando il sentirsi parte della comunità europea. Nonostante la reazione durante la pandemia che ha dimostrato come l’Unione Europea è il riferimento per affrontare le grandi crisi globali ancora oggi sono tante le difficoltà da affrontare in questo lungo e difficile processo di cooperazione rafforzata tra i paesi.

Il secondo intervento invece ha un carattere identitario per noi: l’Europa come strumento di pace.

Stiamo vivendo un momento decisamente negativo su questo fronte. L’invasione russa in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese ci interrogano ancora una volta sul ruolo dell’UE.

Su questo fronte l’Unione Europea cede il passo agli interessi nazionali che svuotano di significato le rappresentanze europee e rendono inefficace tutte le potenzialità del continente; di fronte a questo viviamo la grande contraddizione di un’economia sempre più armata: 346 miliardi di dollari la spesa militare dell’Unione Europea e dei paesi della Nato in aumento costante ogni anno che si aggiungono al 2% del bilancio che la UE destina oggi a scopi militari.

Un’analisi della “Rete pace disarmo” rileva che i paesi più ricchi spendono 30 volte di più in spese militari che in finanziamenti per il clima o a favore dei paesi più vulnerabili del mondo. Lontanissimi ad avere una reale integrazione assistiamo alla duplicazione delle forze militari invece che favorire il disarmo. Purtroppo, parlare di pace in tempo di guerra è molto difficile: lo abbiamo fatto a Vienna all’interno dell’incontro organizzato dall’International Peace Bureau che ha raccolto decine di organizzazioni da tutte le parti del mondo per mantenere attiva la mobilitazione della società civile nei confronti delle istituzioni internazionali perché si avvii la conferenza internazionale di pace per fermare i conflitti in corso.

Le sfide che abbiamo di fronte sono decisive per il futuro di tutti e la nostra associazione ha il grande compito di essere protagonista del dibattito che si svolgerà nei prossimi mesi per orientare verso i più deboli lo sguardo di chi sarà chiamato a rappresentarci. Per questo motivo abbiamo investito molto sulla terza parte, ovvero sulle relazioni tra di noi e sulla responsabilità che ogni associazione nel mondo ha in questa fase politica e sociale. Oltre a condividere la propria idea di Europa, tutti i partecipanti nei lavori dei gruppi hanno provato anche a riflettere su quale tipo di mobilitazione e presenza la nostra rete associativa deve mettere in campo per dare forza alla nostra identità europea.

È stato un weekend intenso, che ha gettato le basi per una campagna significativa e che coinvolgerà tutto il nostro sistema in Europa.

Siamo pronti alla sfida per una Europa più giusta e aperta al cambiamento.

 

 N.1 Gennaio 2024

Per una Europa nuovamente popolare https://pop.acli.it/images/EZA_Monaco_2023.jpg Redazione POP.ACLI