L’incontro con un uomo risorto da morte...

«Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,22-24).

Così Pietro annuncia agli abitanti di Gerusalemme la resurrezione di Gesù. Pietro per primo ha sperimentato ciò che è inaudito, l’incontro con un uomo risorto da morte: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc 18,27).

 È il compimento della fedeltà di Dio al suo desiderio di vita per ciò che ha creato e che Gesù ha vissuto: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Tutto il ministero pubblico di Gesù si può riassumere nell’annuncio del Regno di Dio che si è concretizzato in «miracoli, prodigi e segni». Dio si è fatto vicino agli uomini in Gesù: questo è il cuore della buona novella evangelica.

Questa vicinanza e ospitalità di Gesù nei confronti di tutti, sia dei peccatori e anche di chi si crede giusto, è il segno dell’amore di Dio che è senza ombre o ambiguità.

Noi, uomini e donne, siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, ma non siamo Dio. Siamo liberi di amare o meno, e spesso non riusciamo ad amare come si deve, siamo imperfetti e conviviamo con la nostra ambiguità che oscilla tra gratuità, dedizione, invidia, risentimento, egoismo. Siamo come quella persona che si bilancia prima su un piede e poi sull’altro e non si decide a muovere il primo passo, perché non sa bene se fidarsi o meno della parola di vita che viene da Dio.

In Gesù invece non c’è ambiguità. La testimonianza del suo amore è piena di passione per la vita di coloro che incontra, e si radica nella fiducia nel Padre, creatore e custode del mondo e dell’umanità, con un amore attento alla particolarità di ciascuno di noi.

Gesù è stato fedele al Padre, fiducioso che l’avrebbe custodito anche dalla morte, perché è colui che ha dato la vita a tutto ciò che esiste creandolo. Gesù non ha mai dubitato della vicinanza amorosa del Padre: per questo ha potuto annunciare il Regno di Dio e compiere gesti di risanamento della vita minacciata o diminuita.

Per questa sua fede nel Padre, creatore della vita, è stato resuscitato, «primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20), perché il Padre è fedele alle sue promesse di vita per le sue creature.

Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto, afferma con forza ciò che anche lui ha sperimentato personalmente nell’incontro con Gesù sulla via di Damasco: «ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,17).

Il peccato fondamentale è non credere al Padre creatore e custode della vita, fidarsi più della parola del serpente che ci presenta un Dio invidioso della sua creatura, piuttosto che riconoscere il bene ricevuto, prima di tutto nella vita che abbiamo (Gen 3), che poiché è così vicina a noi, come il nostro volto che possiamo vedere solo in uno specchio, ci è difficile riconoscerla come un dono, e rischiamo di viverla come un possesso.

Ai dodici, inviandoli ai loro vicini, Gesù ha detto: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8). Se tutto è dono, a iniziare dalla vita, la realizzazione dell’uomo consiste nel donare gratuitamente quanto ricevuto, accogliendo l’amore di Dio che perdona anche la nostra debolezza nel cammino verso il suo Regno. Infatti, «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa». (1GV 3,20). Quindi non solo i Dodici sono chiamati amici da Gesù nell’ultima cena («Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi» Gv 15,15), ma tutti noi siamo come i Dodici nella nostra vita quotidiana, chiamati a vivere con chi incontriamo nella gratuità dell’amore di Dio che ci ha creati e ci custodisce.

Gesù è l’uomo vero a immagine e somiglianza di Dio, colui che ha creduto nella parola del Padre e non si è lasciato ingannare dalla parola menzognera del diavolo sia all’inizio del suo ministero che nella sua passione e morte.

Non dobbiamo impegnarci più di tanto nel cercare di capire chi è una persona risorta, come vive, dove vive. Può diventare una tentazione che la sobrietà della Scrittura ci dovrebbe aiutare a superare comprendendo che non è questo l’importante ora, altrimenti ce lo avrebbe rivelato.

Invece, è importante contemplare la vita di Gesù, il suo rapporto con il Padre e lo Spirito, con i dodici, con la folla, con i singoli che si rivolgono con fede a lui e che lui riconosce: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace» (Lc 7,50). Così si diventa suo amico: accogliere la sua amicizia, la sua vicinanza, la sua passione per la vita di tutti: vivere con Gesù per vivere come Gesù. Così risorgeremo con lui alla fine di tutto.

«Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario, infatti, che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,24-28).

Resurrezione https://pop.acli.it/images/sepolcro_jonny-gios-TZ50uMfAK3E-unsplash.jpg Redazione POP.ACLI