Secondo l’articolo 36 della nostra Costituzione il lavoro deve “assicurare un’esistenza libera e dignitosa”. Invece si è affrontata la concorrenza selvaggia dettata dalla globalizzazione non universalizzando diritti, doveri e autorità internazionali, ma, ricorrendo ad una sorta di “lavorare peggio, per lavorare comunque”,

con stipendi diminuiti del 2,9% negli ultimi trent’anni (fonte OCSE, unico caso in Europa), aumento del par time involontario, imposto soprattutto a donne, giovani e stranieri, esplosione del numero di contratti collettivi nazionali, quasi mille, molti dei quali fatti da organizzazioni per nulla rappresentative, solo per trovare una copertura per costi bassi. Senza considerare la tolleranza verso il lavoro nero o grigio e l’economia sommersa, che di fatto è parte integrante di molte filiere della nostra economia. Complessivamente siamo tornati ai livelli di occupazione di prima della crisi finanziaria, ma con in media circa due ore di lavoro in meno a settimana.

Non si tratta solo di lavoro povero, con oltre due percettori del reddito di cittadinanza su cinque che pur lavorando senza sussidio non sarebbero usciti dalla povertà, ma è gran parte del lavoro ad essersi impoverito.

Il tutto mentre, anche durante la pandemia, 500 persone in un anno hanno aumentato i propri salvadanai di 1000 miliardi di dollari (fonte Oxfam), soprattutto grazie alla speculazione e ai paradisi fiscali. E le diseguaglianze esplodono anche nel lavoro. Se un bar vende un panino a un turista a dieci volte il suo prezzo giustamente ci si scandalizza; non altrettanto se un manager gode di una buonuscita 10.000 volte quella di un lavoratore. Segno che nella nostra mentalità è entrato il concetto che non è il merito che porta la ricchezza - infatti chi ha competenze spesso fugge-, ma è la ricchezza, anche se deriva dalla sola rendita, a conferire merito e potere.

Invece di affrontare contraddizioni e inerzie si è così indebolita l’economia deprimendo la domanda di beni e servizi di persone e famiglie, sfavorendo la scelta di avere figli e colpendo la libera concorrenza visto che i grandi gruppi, il cui bilancio è uguale e superiore a quello di uno stato sovrano, competono in modo sleale col piccolo commercio e l’artigianato imponendo alle aziende di lavorare sottocosto.  E la Pubblica amministrazione con il proprio indotto spesso non è da meno.

Le ACLI con la campagna “Pace, Lavoro e Dignità” oltre a ribadire il proprio impegno contro la guerra, hanno fatto diverse proposte. Innanzitutto un piano Marshall per e con l’Africa, i paesi poveri e chi fugge da guerre e povertà; soggetti già travolti dalla escalation della guerra ucraina che ha portato con se speculazioni e aumenti dei prezzi del cibo, e un piano B per un PNRR “sociale” che coinvolga il Terzo settore e comunità locali per reperire risorse e dare spazio a quell’economia sociale oggetto di un piano europeo.

Vi è poi l’urgenza di una profonda riforma della scuola secondaria di primo e di secondo grado, oggi quasi esclusivamente impostata su lezioni frontali e quasi per nulla su un tutoraggio personalizzato. Una riforma che ridia un mandato educativo e che faccia della formazione professionale un complemento necessario e urgente dell’istruzione e necessità permanente anche della vita adulta. Ciò a partire dalla priorità data alla diffusione in tutto il Paese dell'apprendistato duale e della riqualificazione preventiva di milioni di lavoratori.

Occorre anche dare un stop alla greed economy, l'economia dell'avidità, oggi che la guerra annuncia tempi duri per l’aumento del costo della vita e per il nostro export.  E’ quindi urgente ridistribuire la ricchezza agendo sull’assenza di regole e sulla super ricchezza di pochissimi con una vera tassazione dei redditi, di tutti i redditi, equa perché progressiva e “sartoriale”; nonché con una riforma della finanza che preveda anche accordi che mettano al bando i paradisi fiscali, il dumping fiscale e l’evasione se non si vuole precipitare nella recessione.

L’Europa si è intanto data il Pilastro dei diritti sociali, in cui tra le altre misure chiede agli stati di predisporre un salario minimo, che insieme a nuove regole sulla sostenibilità ambientale, dovrebbe portare ad un vero e proprio green e social compact, un patto vincolante per uno sviluppo che faccia perno sulla giustizia sociale e ambientale, perché non ci sarà futuro senza passare dal consumismo a un’economia in cui prevalga il prendersi cura delle persone, della comunità, del patrimonio ambientale e culturale.

L’urgenza di fissare soglie retributive minime viene anche dalla nostra  Costituzione che sempre per tener fede all’articolo 39 ci impone di puntare a contratti nazionali con efficacia obbligatoria per ogni categoria, perché l’impoverimento del lavoro è dovuto spesso a contratti pirata, a condizioni di sfruttamento e di ricatto. Solo riducendo a pochi contratti, autentici e dignitosi e alla possibilità reale che i lavoratori possano avere voce si può pensare a un riscatto del lavoro.

Che il lavoro possa essere crescita della persona e della società, collaborazione e partecipazione nelle aziende e con le comunità, condivisione della ricchezza generata, lo dimostrano tante esperienze e imprese di un’economia effettivamente civile, dove non si guarda solo ai profitti e si ha la consapevolezza che se cresce tutta la comunità cresce l’economia.

Per una Repubblica fondata su “un’esistenza libera e dignitosa” https://pop.acli.it/images/acli-pacelavoro.jpg Redazione POP.ACLI