Gli interventi sono stati ispirati da due tematiche: si tratta della riforma dell’autonomia regionale differenziata e della salvaguardia/tutela delle aree interne del Paese...

Sintetizzare in poche righe quanto emerso durante un evento così ricco come la Conferenza Nazionale di Coesione Territoriale (Napoli, 22 e 23 marzo 2024) è cosa assai difficile. Nel nostro caso tale operazione è facilitata dal fatto che tutti gli interventi sono stati ispirati da due tematiche intrecciate da una trama invisibile che le connette. Si tratta della riforma dell’autonomia regionale differenziata, altrimenti definita riforma Calderoli, e della salvaguardia/tutela delle aree interne del Paese.

I lavori sono stati avviati con la presentazione dell’indagine quali/quantitativa IREF sulle aree interne, che ha messo in luce un dato controintuitivo: dei quasi 1300 comuni italiani che registrano una crescita stabile e duratura di popolazione residente, uno su quattro (27,4%) è collocato in un’area interna. Tale fenomeno inaspettato dipende da numerosi fattori, come ad esempio la vicinanza ad una area industriale, la possibilità di investire nel turismo o nell’agricoltura (prodotti tipici). Questo, tuttavia, pare non essere sufficiente a spiegarne totalmente la tenuta demografica. Affinché ciò avvenga, occorre, infatti, anche un welfare locale efficace, flessibile, che sappia adattarsi alle esigenze dei cittadini. Il terzo settore, più in generale il capitale sociale, è un altro degli elementi necessari per evitare che i piccoli centri delle aree interne muoiano. Immancabile poi è la presenza della buona politica, di amministratori che non si limitino alla mera gestione dei conti economici, ma che sappiano gettare il “cuore oltre l’ostacolo”, coinvolgendo la popolazione su progetti a volte visionari.  

Parlare di aree interne come un argomento a sé stante potrebbe essere fuorviante. Durante la discussione avvenuta a seguito dell’esposizione dell’indagine IREF, infatti, è stato osservato che, specialmente al Sud, il processo di spopolamento e desertificazione commerciale sta colpendo anche i grandi centri urbani. La dinamica demografica, dunque, non è a somma positiva. 

Lo spopolamento è anche effetto della denatalità generata da un duplice fenomeno: l’aumento della speranza di vita, da una parte, e la riduzione della fecondità, dall’altra. A tal proposito, è stato fatto notare che la mancanza di una politica in grado di invertire il trend demografico, di fatto, genera la marginalizzazione di molti paesi italiani, soprattutto appenninici. Seguendo il filo di questo ragionamento, si potrebbe sostenere che le aree interne sono il frutto “maturo” di decenni di politiche poco attente a questo fenomeno, volto al risparmio/taglio delle risorse economiche pubbliche a discapito del welfare locale. Occorrerebbe, dunque, uno sforzo maggiore della politica, volto a superare la cosiddetta dittatura del “tot”, che definisce i fabbisogni locali e i servizi sulla base del numero di persone residenti. In altre parole, se si vuole evitare il rischio di ulteriori marginalizzazioni, occorre trovare il coraggio di promuovere servizi anche per un numero esiguo di cittadini, su misura e non standard. La riforma Calderoli, che pone ogni Regione in competizione con tutte le altre, non migliorerà di certo questa situazione.

In linea con quanto emerso nella discussione/dibattito del venerdì mattina, il Presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, ha messo in evidenza il ruolo positivo del Terzo Settore, vero e proprio “collante sociale” delle piccole comunità “marginali”. È il caso, per esempio, di un minuscolo paesino umbro di 154 anime, Castiglion Fosco, in cui l’unico posto di aggregazione è il circolo Acli, che gestisce un distributore di benzina, ha in consegna le chiavi della Chiesa in cui sono esposte numerose opere d’arte visitabili e organizza la sagra del paese. Purtroppo, però, queste piccole realtà associative rischiano di scomparire sotto il peso di una burocrazia asfissiante, che spesso ostacola la “spontaneità sociale” di queste micro-attività di volontariato.

Il tema delle aree interne e in particolar modo quello dell’Autonomia differenziata è stato anche al centro del dibattito pomeridiano tra i dirigenti Acli, che hanno riflettuto sulle possibili vie di sviluppo futuro del sistema. 

La riforma Calderoli è stata ulteriormente approfondita durante la sessione finale del sabato mattina (22 marzo), dal titolo “Autonomia differenziata: quale idea di paese?”. Durante la discussione è stato fatto notare che l’autonomia regionale, pur sostituendo il modello cooperativo emerso dalla carta del ’48 con un modello competitivo, in linea di diritto è formalmente legale. Va altresì notato, però, che una riforma del genere dovrebbe essere preparata senza forzare la Carta costituzionale. Infatti, andrebbero garantite sia la sostanziale parità tra le Regioni prevista dall’articolo 116 sia la perequazione contemplata dall’articolo 119. In sostanza, se il regionalismo di per sé non è incostituzionale lo è la modalità “furbetta” con cui è realizzato: prima di avviare la riforma, bisognerebbe adeguare il livello economico/sociale di tutte le Regioni, ridurre il numero delle materie assegnate e, infine, evitare di sottrarre al Parlamento il controllo dei Livelli Essenziali delle Prestazioni. Vista da questa particolare ottica, quella in corso più che una riforma pare essere un pasticcio, una sorta di contro-risorgimento, come ha chiosato il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, in chiusura di queste lunghe intense giornate di dibattiti.

Conferenza Nazionale di Coesione Territoriale: il contro-risorgimento della riforma Calderoli https://pop.acli.it/images/APRILE/napoli_22_e_23_marzo.jpg Redazione POP.ACLI