Tanti fattori hanno concorso ad impoverire le condizioni di lavoro, rendendo il Paese più povero. Le proposte Acli per invertire la rotta...

Tanti fattori hanno concorso ad impoverire le condizioni di lavoro: l’aumento di part-time involontari, il sommerso, la precarietà; il ridursi dei salari reali (unico paese in Europa dove invece spesso sono cresciuti del 30% in trent’anni), con una perdita del 7% del potere d’acquisto rispetto a prima della pandemia (ovvero 100 € in meno per uno stipendio di 1500 secondo l’Ocse); la concorrenza al ribasso generata dalla legittimazione di contratti collettivi di lavoro opportunistici e da commesse, anche pubbliche, che spesso impongo alle imprese fornitrici di lavorare in perdita. Le situazioni peggiori toccano soprattutto, ma non solo, giovani, donne, stranieri e residenti nel sud. Si è così impoverito anche il Paese perché il lavoro alimenta meno i consumi e genera un gettito sempre più scarso per mantenere servizi, sanità, scuola, investimenti pubblici. L’assenza di welfare sociale (nidi, risorse per l’assistenza anziani, politiche familiari ...) ha concorso a una bassa occupazione femminile e al declino demografico (con ora il calo ogni anno di circa 200.000 persone in età da lavoro).

Rispetto al 2019 c’è una positiva crescita dei posti di lavoro, + 700.000, ma non pare migliorata la qualità del lavoro come evidenzia il permanere del divario di occupazione e salari tra uomini e donne. Inoltre l’incremento è basso se si considera quanto la nostra economia sia ancora fortemente sussidiata dall’aumento della spesa pubblica: nel 2023 +157 miliardi rispetto al 2019, l’equivalente di almeno 4 milioni di stipendi.  Per farvi fronte i “tagli” del Def, nel confronto con il 2021, sono del 6,2% nella già sempre meno accessibile Sanità pubblica e del 15,2% alla voce “Altro welfare senza previdenza”. Intanto la ricchezza che il lavoro crea è sempre più iniquamente distribuita a vantaggio della speculazione e di vertiginosi extraprofitti.

Eppure, molte aziende, nelle quali spesso c’è collaborazione tra lavoratori, sindacati, impresa e territorio, dimostrano che possiamo invertire rotta: migliorare il Lavoro migliora il Paese.

In questa direzione come ACLI abbiamo rilanciato 7 aspetti strategici:

Istruzione e formazione professionale: la Scuola e l'educazione sono le priorità per guardare al futuro e ormai devono accompagnarci per tutta la vita, introducendo il diritto alla formazione permanente e connettendo di più tecnica e cultura, pratica e pensiero. Abbiamo bisogno che i giovani possano tornare a vivere e immaginare il mondo e il lavoro. Perché, per esempio, non insegnare Filosofia anche negli istituti tecnici e nella formazione professionale (che andrebbe diffusa in tutte le regioni visto che l’80% degli allievi viene subito occupato)?

Inclusione: un reddito minimo per tutte le famiglie in povertà assoluta e “Case del lavoro” in collaborazione tra comuni, centri per l'impiego e Terzo settore, per generare più politiche attive nel territorio; un welfare non solo per chi può pagarselo, assegni di cura alle famiglie per l’assunzione delle badanti e un piano straordinario di servizi e azioni per aumentare l'occupazione femminile.

Indice del lavoro dignitoso: un indice scientifico che fissi la soglia di salario minimo nei diversi settori (valorizzando i contratti collettivi siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi) che contribuisca a legittimare solo contratti collettivi non opportunistici (vd. Lavorare pari).

Ispezioni di comunità contro sommerso e incidenti mortali: si coinvolgano comuni e terzo settore accreditato nella lotta contro il crescente lavoro nero e le situazioni in cui la vita è a rischio.

Immigrazione: la legalità è fatta di diritti e senza immigrazione anche le industrie se ne andranno perché il numero di ventenni è già il 38% in meno dei cinquantenni, con i lavoratori over 50 che sono quasi 10 milioni. Serve una politica regolare, non sporadica e emergenziale, di accoglienza e integrazione.  Insieme va rafforzata e aumentata la cooperazione allo sviluppo, e non tagliare oltre 600 milioni aumentando la distanza dallo 0,70 % del Reddito nazionale lordo previsto dall’Agenda 2030 dell’ONU.

Industria: servono politiche industriali nazionali ed europee, per uno sviluppo sostenibile, per avere grandi aziende e per non perdere tanti ricercatori andati all’estero. Va bocciata l'autonomia differenziata: sarà la pietra tombale sulle politiche industriali. I servizi per l’industria, le infrastrutture strategiche, la ricerca universitaria concepite e governate in competizione tra regioni vogliono dire aumento dei costi, delle normative (21 invece di 1), dei Cda delle società partecipate; Il tutto a scapito di cittadini, famiglie e piccole e medie imprese e mettendo di fronte all’opportunismo delle multinazionali istituzioni frammentate. Serve essere una regione dell’Europa e non una pletora di regioni autoreferenziali, anche per avere norme europee sul rispetto dei diritti e dell’ambiente nelle catene di fornitura locali e globali.

Imposte: oltre a un vero contrasto al sommerso, anche prevedendo una maggiore tracciabilità del denaro, si bocci la deriva politica che premia la rendita e la speculazione e carica tutto su lavoro e pensioni. Si promuova una fiscalità, anche europea, che elimini i paradisi fiscali, tassi correttamente le multinazionali, tocchi le grandi ricchezze, penalizzi le transazioni fatte solo per fare soldi e accrescere la bolla finanziaria globale. Si adotti, invece, un fisco che torni al dettato costituzionale della progressività delle imposte e del contribuire in base alle proprie capacità, premi lavoro e famiglie e favorisca gli investimenti di lungo periodo nello sviluppo sostenibile, il Green deal europeo.

1° maggio: Lavoro migliore uguale Paese migliore https://pop.acli.it/images/APRILE/ACLI_pace_lavoro_dignita_25-1.jpg Redazione POP.ACLI