Un viaggio importante perché apre la stagione congressuale delle Acli, rimarcando la capacità dell’associazione di stare sui confini. Quindici minuti separano Bihac dal confine croato e dall’ingresso in UE...

Il compound appare improvviso dietro la curva, attirando immediatamente lo sguardo fin lì perso fra boschi e greggi. L’ordinata dislocazione dei container bianchi, all’interno dell’area recintata, contrasta violentemente con il bucolico e vasto paesaggio circostante. La dissestata strada bianca che conduce al campo di Lipa non è altro che un ulteriore espediente per isolare i migranti che transitano sulla rotta balcanica. Bihac dista circa 25 km, una quarantina di minuti in macchina, sei ore di cammino. Per i migranti una sosta o una base prima di tentare il “game”, che ha in palio il superamento del confine fra la Bosnia e l’Europa, ma giocato con mezzi molto diversi. Da una parte escamotage di fortuna, pagati a caro prezzo, dall’altra le più moderne tecnologie di avvistamento e identificazione delle persone. Da una parte la speranza in una vita migliore, dall’altra una fredda e brutale organizzazione militare tesa ad impedire l’ingresso in quei Paesi che proprio sull’idea di pace e dei diritti sociali hanno costruito la propria ragion d’essere. Una battaglia impari, dove paradossalmente i più forti perdono sulla pelle e sulla psiche dei più deboli.

Per la delegazione delle Acli, composta dalla Presidenza delle Acli e da una parte del direttivo di Ipsia, l’improvvisa apparizione del campo, i controlli all’ingresso, gli sguardi sfuggenti degli ospiti, la sensazione di costrizione rendono immediatamente evidenti statistiche e cronache, ma soprattutto la sensazione di trovarsi veramente in uno degli snodi della storia contemporanea. Attraverso la Bosnia Erzegovina, d’altra parte, possiamo leggere gran parte della storia degli ultimi secoli.

A Sarajevo con le pistolettate di Gavrilo Princip iniziò il cosiddetto “Secolo Breve” che non si chiuse con la caduta del muro, ma proprio con l’inizio del conflitto Serbo Bosniaco nel 1992, dove si infransero le speranze della “fine della storia” ed emersero i prodromi di gran parte dei conflitti successivi, incentrati non più sui blocchi ideologici ma su riferimenti identitari e nazionalisti. 

Oggi la Bosnia è anche il crocevia di centinaia di migliaia di storie di migranti che fuggono da conflitti, disastri climatici, governi dittatoriali, da qualunque situazione talmente disperante da valere il costo della propria vita. Per conformazione morfologica la Bosnia è, infatti, al centro della cosiddetta “Rotta Balcanica”. Da qui nel corso del 2023 sono transitate circa 150.000 persone (quasi il 50% di tutti i migranti che sono entrati in UE). Nei volti e nei documenti di questi “transitanti” si possono capire gran parte delle tensioni e dei conflitti attuali, dall’Afghanistan, alla Siria per arrivare al Marocco e al Sudan.

La velocità di transito di questo flusso di persone, che ripercorre da Est verso Ovest vecchie vie di commerci più o meno legali, segue il ritmo delle stagioni, dei disastri ambientali, delle guerre e delle velleità politiche dei Paesi e dell’UE. La sosta avviene in alloggi di fortuna, nei boschi, in squat e centri di accoglienza realizzati e gestiti da UNHCR, OIM e Ministero degli Affari Esteri della Bosnia Erzegovina. Lipa è uno dei sei centri di accoglienza per migranti del Paese. A Lipa e Borici ora, e prima nei vari insediamenti e squat di Bihac, opera da anni IPSIA cercando di rendere più dignitose e umane le condizioni di vita dei migranti.

Anche per la storia minore di IPSIA, d’altronde, la Bosnia è emblema della propria identità e della propria mission. Ipsia è presente nel Paese fin dal 1997 quando, a seguito del trattato di Dayton, iniziò la ricostruzione del Paese. Una presenza per realizzare progetti di sviluppo ma anche e soprattutto per favorire la riconciliazione fra le diverse nazionalità e per mantenere alta l’attenzione verso gli eventi che seguirono al disfacimento della Jugoslavia e che segnarono la visione e l’impegno sociopolitico di un’intera generazione. Il consolidamento della presenza nel Paese ha permesso di realizzare con la comunità molteplici progetti per rispondere a bisogni di volta in volta emergenti: crescita economica, rilancio del turismo, interventi emergenziali a seguito di inondazioni fino all’accoglienza dei migranti dopo il 2015.

Nel trasformare la propria azione IPSIA ha mantenuto fermi sempre due principi: progettare con le comunità locali e tentare di conciliare bisogni e necessità fra loro potenzialmente confliggenti, come l’aiutare i migranti, ma continuando a realizzare iniziative a favore della popolazione bosniaca, una popolazione che porta ancora nelle storie individuali e nelle istituzioni i segni del conflitto. 

In questa tensione va letta anche l’esperienza della delegazione delle Acli che nel suo viaggio di conoscenza ha inteso sostenere economicamente da una parte la sistemazione della strada verso Lipa dall’altra la realizzazione di una palestra per una scuola primaria di Bihac. 

Un viaggio importante perché apre la stagione congressuale delle Acli, rimarcando la capacità dell’associazione di stare sui confini e indicando per chi e come fare ancora le Acli nel futuro, ma anche perché si è collocato a pochi mesi dalle elezioni europee. Un’Europa che ha trovato nel processo di adesione una modalità concreta per realizzare la pace all’interno dei propri confini, ma che ancora pare non abbia trovato modo di realizzarla all’esterno né con politiche estere efficaci né con politiche migratorie capaci di andare oltre la richiesta per i nostri vicini di creare campi di contenimento, respingimenti e controlli sempre più serrati e tecnologicamente avanzati. 

Quindici minuti separano Bihac dal confine croato e dall’ingresso in UE e mentre consegni distrattamente la sola carta d’identità al controllo veloce non puoi fare a meno di pensare a chi sta tentando per l’ennesima volta il game perché ha in mano un documento sbagliato.

Chiusi, fuori https://pop.acli.it/images/MAGGIO/Bihac_1.jpg Redazione POP.ACLI