Il 4 maggio di 70 anni fa, una esplosione provocata dal grisou causò la morte di 43 minatori impegnati nell’estrazione di lignite nel villaggio minerario di Ribolla, nelle Colline Metallifere grossetane…

Ribolla non la conosce nessuno. Nessuno ricorda quello che fu, ed è ancora considerato, il più grande disastro minerario del dopoguerra in Italia.
Quest’anno però l’ha ricordata il Presidente della Repubblica. «Morire sul lavoro, per il lavoro – ha detto – fu il destino di quei minatori, vittime di una logica di sfruttamento che non poneva la salvaguardia della vita delle persone al centro delle attività di produzione».
E lo storico Alessandro Barbero ha celebrato lì il primo maggio, dedicando a Ribolla la puntata della serie tv “In viaggio con Barbero”.
E poi, ancora, qualche mese prima, anche il magazine di Rai Storia “Telemaco” gli ha dedicato una puntata, condotta dalla giovane storica Emanuela Lucchetti.

Dei minatori della Maremma avevano scritto Luciano Bianciardi e Carlo Cassola (Laterza, 1956; ripubblicato nel 2019 da Minimum Fax) e nel 1964 era uscito il film di Carlo Lizzani “La vita agra”, tratto dal romanzo di Bianciardi: la storia di un anarchico che voleva far saltare il palazzo della Montecatini per vendicare la morte dei 43 minatori di Ribolla.
Però di Ribolla lo stesso non si parlava.
Anche se quel paese, nato dal nulla in terre di malaria nella metà del XIX secolo, era stato teatro di una straordinaria stagione di lotte dei minatori e di una presenza forte e significativa dell’associazionismo femminile. E anche se la miniera ha continuato ad esistere, nella memoria ammutolita e silente degli abitanti di Ribolla, ben oltre la sua chiusura, avvenuta nel 1960.

Così, abbiamo chiesto a Maria Palazzesi, autrice di “Ribolla. Storia di un villaggio minerario” (Il Leccio, 1983) di raccontarci la “sua” storia. Perché Maria a Ribolla c’è nata. Anche se non è una storica – come tiene a precisare – e non viene da una famiglia di minatori, ed era appena nata all’epoca della tragedia. Il padre però con quella ebbe a che fare: fu il primo medico ad accorrere quel 4 maggio, l’unico a risiedere a Ribolla, benché non fosse legato alla Montecatini.
Perché allora - le abbiamo chiesto - scrivere un libro su Ribolla? Su quel paese nato senza una piazza e senza un progetto, attorno ad una miniera chiusa?
Così Maria ci ha spiegato che c’era qualcosa di vivo e resistente in quella miniera mai nominata. In quel paese di minatori ormai senza minatori. Qualcosa che da sotto terra chiedeva di essere riportato alla luce, di essere nominato, di rimettere al mondo le tante storie e le tante anime ammutolite dalla tragedia di “quel giorno”, come ormai per tutti era il 4 maggio.
Era il tempo di farlo e Maria – giovanissima consigliera comunale di Roccastrada, iscritta al PCI, che aveva attraversato gli anni ’70 incrociando la stagione dei movimenti e il femminismo – comincia a raccogliere documenti, a consultare gli archivi, e – soprattutto – ad intervistare la gente: minatori, dirigenti della Montecatini, sindacalisti, esponenti politici, e tante donne. E sì, perché a Ribolla esisteva una associazione assai attiva e dinamica; si chiamava “Le amiche della miniera”.

C’era stato un periodo “felice” per le miniere italiane, appena dopo la seconda guerra mondiale. Durante il fascismo la produzione delle miniere era cresciuta moltissimo ma in modo inversamente proporzionale alla tutela dei lavoratori. Ma stava iniziando un tempo nuovo: tornava la libertà sindacale e con essa la nascita di organizzazioni, come il Sindacato Minatori, e soprattutto un clima di inedita collaborazione segnò i rapporti tra la direzione delle miniere e le maestranze.
Ma durò poco; a Ribolla ancora meno che altrove.
L’afflusso di carbone fossile dai Paesi esteri rese sconveniente l’estrazione della lignite, combustibile di bassa qualità. Così, già a partire dal 1947, cominciò la progressiva riduzione di personale: solo dal 1946 al 1948 si persero circa 1.600 posti di lavoro. Ma fu l’imposizione del cottimo a scatenare nel 1951 la più grande azione di rivolta: la cosiddetta “lotta dei cinque mesi”. I minatori ne uscirono sconfitti e partì la “controffensiva” della Montecatini, in un clima ormai avvelenato da ricatti e intimidazioni e segnato da continui licenziamenti.
Fu così che “quel giorno”, i minatori furono costretti a scendere nel pozzo “Camorra” nonostante avessero segnalato che l’impianto di ventilazione - chiuso da tre giorni - non era riuscito a liberare l’aria. Erano le 8.40 di mattina. Il primo turno dopo il 1° maggio, festa dei lavoratori…

"L’orgoglio di essere minatori". Maria l’ha chiamato così.
In pochi altri lavori sai che la tua vita e quella degli altri sono legate indissolubilmente. “Solidarietà” e “amicizia”, sono questi i termini usati dagli intervistati per definire i rapporti tra loro, tra minatori. E non è un caso che la “lotta dei cinque mesi” avesse riguardato il cottimo, uno strumento “mortale” e divisivo, che spingeva il ritmo di lavoro oltre il limite tollerabile, in nome della massimizzazione del rendimento a scapito delle condizioni di lavoro e di sicurezza, creando inoltre una pericolosa disparità nei guadagni.

Il processo per il disastro minerario di Ribolla si svolse a Verona, avendo la Montecatini invocato la “legittima suspicione”. Si concluderà il 27 novembre 1958, dopo venti udienze. Tutti gli imputati - cinque tecnici della Montecatini e il direttore del distretto minerario di Grosseto - furono assolti dalle accuse di disastro minerario e di omicidio colposo plurimo nonché di ferimenti colposi plurimi, per non avere commesso il fatto. I familiari delle vittime non si costituiranno parte civile.

Il pozzo “Camorra sud” è lontano dal centro abitato. Ora, attorno all’uscita, in circolo come una Stonehenge arborea, ci sono 43 cipressi. Mentre in Paese, dal 1984, c’è il monumento al minatore, fortemente voluto da Mendes Masotti – leader carismatico dei lavoratori della miniera – realizzato da Vittorio Basaglia, quello stesso che realizzò la scultura di Marco Cavallo, il grande animale azzurro che nel 1973 forzò i cancelli del manicomio psichiatrico di Trieste, diventando il simbolo di una rivoluzione.

 

Mi chiamo Maria. E sono nata a Ribolla… https://pop.acli.it/images/MAGGIO/1024px-RibollaMinersMonument.jpg Redazione POP.ACLI