Il rallentamento della pandemia non ha portato con sé una diminuzione della povertà. Non ancora. Dopo una lieve impennata dei livelli della povertà assoluta del 2020, in cui si è registrato un incremento dei poveri soprattutto al Nord, nel 2021 - così dice l’ISTAT - si ritorna a una situazione di normalità, sia nei numeri sia nella geografia dell’indigenza...

E’ il Mezzogiorno che torna ad essere terra di povertà, anche se il recupero nelle regioni del Nord, rispetto al 2019 non è stato del tutto recuperato (6,7% di famiglie povere nel 2021 contro il 5,8% del 2019). Per quanto riguarda le famiglie povere, il 42,2% vive nel Mezzogiorno (era il 38,6% nel 2020) e il 42,6% al Nord (era il 47,0% nel 2020).

Per quanto riguarda le classi d’età, con una percentuale pari al 14,2%, alta è l'incidenza della povertà assoluta fra i minori (circa 1,4 milioni). Quella dei giovani 18-34 anni è altrettanto significativa (11,1%), così come quella dei 35-64enni (9,1%), mentre rimane su valori inferiori alla media nazionale quella degli over 65 (5,3%).

Anche fra gli immigrati si riscontra un alto tasso di povertà assoluta. In Italia sono circa 1.600.000, con una incidenza pari al 32,4%, un dato che è quattro volte superiore a quello degli italiani (7,2%). Rispetto al 2020 gli stranieri in povertà assoluta sono aumentati sia al Centro (27,5%) che al Sud (40,3%), mentre sono diminuiti a Nord, dove l’incidenza delle persone povere è diminuita per italiani e stranieri.

Ma la povertà assoluta è la punta dell’iceberg di una povertà molto più diffusa e sfaccettata: è il Sud che detiene il record negativo della povertà educativa (la percentuale di Neet al Sud è doppia rispetto a quella del Nord), di quella sanitaria (nel Sud Italia si registra un indice di buona salute 3/10 e spesa sanitaria pro capite di 1.949 euro, a fronte di un indice di buona salute di 6,8/10 ed una spesa sanitaria pro capite di circa 2.500 euro nelle regioni del Nord Italia), demografica (il calo delle nascite nei primi dieci anni del 2000 ha riguardato solamente il Sud, e in alcune province come Barletta Andria Trani ha toccato punte del 40%.) e infrastrutturale (in Lombardia circa l’80% delle famiglie ha un accesso a internet da casa, mentre al Sud, meno del 20% delle abitazioni ha una connessione a banda larga veloce).

Insomma, stiamo parlando di una povertà a 360° che comporta un lento abbandono dalle terre del Sud con conseguente desertificazione di una parte del Paese. Il nostro Meridione si sta spopolando, non solo perché non si fanno figli ma perché le persone, in particolare i giovani, hanno perso ogni speranza: di poter studiare, di essere curati, di trovare un lavoro. Il Sud continua, dunque, a vivere uno stato di deprivazione diffusa che certamente non le fa bene, ma non fa bene neanche al resto del Paese.

E questo le Acli lo affermano non per invocare una separazione fra le due Italie dalle due diverse velocità, ma per ragionare seriamente di politiche di coesione territoriale volte a ri-appianare lo storico ed evidente divario nord/sud. E’ vero che la pandemia ha buttato benzina sul fuoco della disuguaglianza, ma è anche vero che, laddove c’era un territorio più forte, il Nord, la ripresa - e ce lo dicono chiaramente i dati - è stata più lineare. Nel Mezzogiorno, dove la povertà è ormai un fenomeno strutturale e di lunga durata, la risalita è più complicata e più lenta. Anche la spesa media mensile delle famiglie, infatti, rispecchia queste differenze: se il Nord Italia nel 2021 ha visto un aumento del 6% con una spesa media di 2.676 euro, il Sud non arriva al 4% (+ 3,7%), con una spesa media di 1.985. Ciò vuol dire che in valori assoluti, la differenza è di ben 691 euro mensili. Probabilmente, gli effetti dell’inflazione dovuti alla guerra in Ucraina non migliorerà certo il quadro futuro.

Non vi è dubbio che il PNRR sia una importante occasione (anche se non l’unica), per riparare i danni sanitari, sociali e d economici della pandemia, ma anche per invertire la rotta della storica disuguaglianza fra Nord e Sud. I miliardi messi a disposizione dall’Europa, benché non vi sia nel PNRR un’idea di cambiamento ragionato nel Mezzogiorno, sono un utile strumento per incentivare processi di cambiamento e innovazione a favore di quelle regioni più in difficoltà.

Se questo è vero, la bozza di legge quadro sull’autonomia differenziata, a cui sta lavorando la ministra per gli affari regionali Maria Stella Gelmini, seguendo il fallimentare criterio della spesa storica, rischia di diventare una trappola che andrà ad acuire i divari territoriali. E’ infatti noto come tale criterio non potrà che portare più soldi al Nord, rendendo impossibile, per le regioni del Sud, anche per quelle più virtuose, di ridurre il gap, producendo quella odiosa “secessione dei ricchi”, così come l’ha definita efficacemente Gianfranco Viesti in un suo volume a cui ha dato addirittura questo titolo.

Il rischio maggiore che porta quindi con sé questa proposta è quella di disegnare un’Italia sempre più disuguale in cui verranno definitivamente azzerate le pari opportunità fra le persone che la abitano.

Dalla povertà differenziata non si esce con l’autonomia differenziata https://pop.acli.it/images/povert_senza_dimora_emarginazione.bmp Redazione POP.ACLI