Il 12 giugno è stata la giornata mondiale contro il lavoro minorile. La buona notizia è che questa ed altre giornate ci ricordano che ancora esiste l’ONU, nonostante gli sforzi contrari di tanti. Sembra sempre più il povero e solitario sceriffo di qualche film western, al quale proprio quando servirebbe il suo intervento, viene detto di starsene chiuso in ufficio o peggio di disarmarsi da solo. 

Il tutto dimentichi che nel ripudiare la guerra la nostra Costituzione di fatto prescriva la promozione di organizzazioni internazionali che assicurino la pace e la giustizia, organizzazioni costruite al pari tra le nazioni. Per altro 10 anni fa il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace propose anche, di fronte alla devastazione aperta dalla crisi finanziaria, un’autorità internazionale in materia di finanza, di fatto guardando anche alle proposte di riforma che chiedevano un ruolo nuovo delle Nazioni Unite puntando a renderne l’azione più cogente e meno velleitaria.

Bisogna essere onesti, dire come dice Papa Francesco (enciclica Laudato si’) che “tutto è connesso”, significa anche prendere atto che quei 260.000 bambini e adolescenti in Italia e quei 169 milioni di loro nel mondo che invece di andare a scuola lavorano sono funzionali all’economia della quale facciamo parte, siamo consumatori, produttori e attori politici. Non esiste, anche nel nostro Paese un’economia malata e sporca che sia separata dal resto dell’economia di cui viviamo, viaggiamo, ci vestiamo e apparecchiamo le nostre tavole. Certo esiste una parte di mondo che fa economia cercando di sfuggire a logiche malate e spesso riuscendoci, ma prevalentemente filiere e finanza si intrecciano con gli affari coi quali questa economia di schiavitù interagisce ed opera. Del resto la stessa vicenda della guerra in Ucraina ci vede ancora partner della Russia, alla quale paghiamo addirittura le stesse cifre per avere meno gas di prima. Dovrebbe restarci nella testa il duro svelamento del nostro Presidente del Consiglio quando ebbe a dire, meglio appunto svelare, che purtroppo ci sono dittature di cui abbiamo bisogno (il riferimento era alla Turchia di Erdogan, utile a bloccare lontano dai confini dell’Unione Europea, senza alcun umano rispetto, il popolo della povera gente disperata che fugge dalle guerre).

Sempre più il conto di un mondo che non ha cercato seriamente di porsi al passo col dettato costituzionale cominciamo a pagarlo anche qui in Europa, sempre più un mondo che fa economia sull’ingiustizia ci pone di fronte a pesanti contrappassi, bellici, sociali e ambientali che siano. Prima ce ne rendiamo conto e prima capiremo che senza una dose massiccia di giustizia e sobrietà non ci sarà alcun sviluppo. Servirà sempre più, convincersi anche in economia che “meno è di più” e che serve “dividere per moltiplicare”.

Ciò detto se si vuole, a cominciare dal nostro Paese, porsi degli obiettivi decenti sui minori schiavizzati per produrre possiamo partire da tre proposte.

La prima è smetterla di chiamarlo lavoro minorile. Non è lavoro, dobbiamo rialzare l’asticella di che cosa significa lavoro. Rifiutiamoci di chiamarlo lavoro. Il lavoro è qualcosa che restituisce dignità e libertà a chi lavora, alla comunità e al pianeta. Questo non è lavoro, questa è perlopiù schiavitù e come tale andrebbe perseguita.

La seconda è che serve, come abbiamo scritto nel documento della Direzione nazionale, immediatamente, un piano Marshall di co-sviluppo per e con l’Africa, i Paesi poveri e per chi fugge da guerre e povertà, da finanziare iniziando a varare seriamente ed estendendo internazionalmente la cooperazione rafforzata europea sulla Tassa sulle Transazioni Finanziarie, a scapito della grande speculazione. Queste sono le regioni e le popolazioni, compresa quella di oltre 80 milioni di persone in fuga da guerre, devastazioni e dittature, che più saranno bersaglio di nuova schiavitù, come quella dello sfruttamento dei minori per produrre o per sesso o per traffico d’organi.

La terza è che di fronte a tutto ciò non si comprende come ancora si accetti e talvolta ci si dimentichi del cancro che sono i paradisi fiscali. Non ci vuole molto ad abolirli, costa molto meno che produrre carrarmati. Invece siamo all’assurdo che spesso veneriamo come esempi anche coloro che le tasse dovrebbero pagarle nei paesi dove fanno il proprio fatturato, e invece le vanno a versare lì dove non ci sono. Questa sudditanza all’economia immune alle regole ci rende complici perché in quei “paradisi” più che altrove il valore prodotto dal lavoro e dall’economia reale si mescola e diviene concittadino di chi ruba ricchezza a tanti paesi poveri edificandoci sopra oligarchie, dittature, eserciti mercenari e imperi mafiosi.

Se il volto di bambini strappati alla scuola per essere schiavi, spesso insieme ai propri genitori, di avidi interessi ci tocca dentro non possiamo girarci dall’altra parte di fronte all’economia dell’avidità, la sola che oggi veramente rischia di essere intoccabile: la greed economy. Anche se dovremmo pagarne un prezzo non piccolo.

Ma il futuro non è più gratis né mai lo è stato.

Lavoro minorile: non è lavoro, è schiavitù https://pop.acli.it/images/lavoro_minori_giovani.jpg Redazione POP.ACLI