Dal colpo di stato del 1973 ai recenti tentativi di riforma della Costituzione sotto il segno della partecipazione…
I vertici militari cileni guidati dal generale Pinochet, l'11 settembre 1973, destituirono il presidente Salvador Allende con un colpo di Stato militare. Il 27 giugno 1974 il generale assunse il titolo di "Capo Supremo della Nazione" e, dopo l'apparente smilitarizzazione del governo, il 17 dicembre 1974 si insediò come Presidente della Repubblica cilena. La violenza e il bagno di sangue che caratterizzarono il colpo di Stato continuarono durante tutto il periodo dell'amministrazione dittatoriale di Pinochet. Nonostante il regime sia durato 17 anni, non tutti i Paesi riconobbero il nuovo Governo, per esempio l'Italia e la Svezia non riconobbero mai il cambio degli ambasciatori e formalmente rimasero in carica quelli nominati da Salvador Allende.
Tra le riforme di questo periodo, oltre a quelle economiche di stampo neoliberista, si annovera la Costituzione cilena del 1980, che è ancora l'attuale in vigore in Cile, emanata attraverso il "Consiglio di Stato" e successivamente approvata da un plebiscito l'11 settembre 1980, con oltre due terzi degli elettori a favore, ma tenutosi ancora sotto il regime militare e oggetto di accuse di frode da parte dell'opposizione e di diversi storici.
Negli anni ha subito numerose riforme costituzionali, sottoposte a referendum, riaffermando il pluralismo politico, con il rafforzamento dei diritti, nonché del principio democratico e della partecipazione alla vita politica, tra le quali una semplificazione del meccanismo di modifica. Tra le tante occasioni di riforma susseguitesi fino al 2022 ricordiamo che solo nel 2005 sono state approvate consistenti modifiche che hanno eliminato alcune delle rimanenti parti non democratiche del testo, come ad esempio l'esistenza di senatori non eletti (senatori di nomina, o senatori a vita) e l'impossibilità per il Presidente della Repubblica di rimuovere il Comandante in Capo delle Forze armate cilene. Tuttavia, per esempio le “misure antiterrorismo” previste nel testo del 1980 sono rimaste in vigore. Se è vero che la transizione del Cile è stata pacifica, è anche vero che la mancanza di una “rottura” ha significato ereditare enclavi autoritarie dal quadro socioeconomico precedente. Tra le conseguenze più dirette ci sono il sistema bipartitico e i requisiti di maggioranza che hanno facilitato “la politica degli accordi” tra centro-destra e centro-sinistra con il mantenimento dello status quo.
Nel 2015, la Presidente Michelle Bachelet (della quale ricordiamo che lei stessa insieme a parenti e amici subirono violenti trattamenti da parte del regime, costringendola all'esilio) ha annunciato che avrebbe avviato un processo costituzionale per la stesura, la discussione e l'eventuale approvazione di un progetto di nuova Costituzione e ha portato una proposta che è stata presentata al Congresso Nazionale negli ultimi giorni del suo mandato.
Tra ottobre 2019 e marzo 2020 è scoppiato in Cile l'Estallido Social, una protesta, in cui, sebbene la causa immediata venga attribuita all'aumento delle tariffe dei trasporti pubblici, le manifestazioni popolari hanno presto messo in luce altre cause mediate: l'alto costo della vita, pensioni basse, prezzi elevati dei farmaci e delle cure sanitarie, un rifiuto generalizzato dell'intera classe politica con la richiesta di riforme, compresa la stessa Costituzione del Paese.
Insieme all'organizzazione di proteste e manifestazioni, in tutto il paese iniziarono ad essere organizzati vari spazi di conversazione autoconvocati, noti come "consigli aperti o cittadini", principalmente a livello di quartiere o insieme alle organizzazioni della società civile, come consigli di quartiere, università, sindacati, associazioni, ecc. L'obiettivo di questi consigli era quello di avviare discussioni sui problemi affrontati dai cittadini, di proporre cambiamenti e soluzioni a queste questioni e di proporre le azioni che i cittadini dovrebbero intraprendere per realizzare questi cambiamenti.
La questione della stesura di una nuova Costituzione (e in particolare, di una scritta da un'assemblea costituente) è apparsa nel 2019 in molte delle proteste che si sono svolte in tutto il paese e in molti dei consigli cittadini organizzati.
Il 7 novembre 2019, l'Associazione cilena dei comuni (AChM), tra cui membri di tutto lo spettro politico, ha approvato l'invio del suo Consiglio di amministrazione per convocare una consultazione cittadina il 7 dicembre, in cui ai cittadini sarebbe stato chiesto se fossero d'accordo con la stesura di una nuova Costituzione, oltre ad altre questioni di carattere locale. A causa dell'annuncio dell'accordo politico avvenuto nel frattempo e del successivo consolidamento del plebiscito nazionale, l'AChM ha temporaneamente sospeso la consultazione dei cittadini per poi rilanciarla, comunque, poche settimane dopo. La consultazione cittadina ha avuto un'alta affluenza, nonostante non si trattasse di un'elezione ufficiale: più di 2,46 milioni di persone hanno votato alla consultazione e il 92% di loro ha votato a favore della stesura di una nuova Costituzione, mentre il 71% degli elettori ha favorito l'opzione di una Convenzione Costituente composta interamente da membri eletti.
Il 25 ottobre 2020 si è svolto un plebiscito per adottare una nuova Costituzione o mantenere quella attuale e scegliere da quale organo dovesse essere scritta: il 78,12 per cento dei votanti si è espresso a favore di una nuova costituzione e il 78,99% per la scrittura da parte di una convenzione costituente (non mista ad altre istituzioni).
A maggio 2021 è stata eletta una Convención Constitucional di 155 membri. Questa assemblea ha avuto il compito di redigere la nuova Carta. Molte sono state le esperienze di democrazia partecipativa messe in campo dalla società civile cilena dalle proteste del 2019 fino alla redazione, come è stata definita, di una delle Carte costituzionali più avanzate del Mondo, ancora oggi oggetto di studi, in materia di diritti, diversità culturali, parità tra i generi, natura e beni comuni, oltre all'opportunità di superare un ingombrante passato. Il progetto, di 387 articoli divisi in otto capitoli, è stato però bocciato il 4 settembre 2022 a seguito del referendum confermativo cui ha partecipato l'85.81 % degli aventi diritto, con il 61.86% dei voti contrari. Nonostante i risultati, il presidente Gabriel Boric ha indicato che questo plebiscito non sarebbe stato la fine del processo costituente.
Le ragioni del rigetto sono state ricondotte da alcuni esperti all’incapacità di comprendere la valenza politica della proposta costituzionale e di capire la funzione di una Costituzione con la sua rilevanza storica. Questa difficoltà è chiaramente espressione di una profonda "depoliticizzazione" popolare. L’autoritarismo e il neoliberismo hanno ridotto enormemente la capacità di comprensione e di ragionamento politico della maggioranza della popolazione, e ciò si è dimostrato ancora valido nonostante il processo di “politicizzazione” in atto e reso possibile dalla società civile.
Il 7 maggio 2023 si sono tenute le elezioni per eleggere i 50 membri del neonato Consiglio Costituzionale, il cui scopo è stato quello di un altro tentativo costituente insieme a una commissione di esperti formata da 12 deputati e 12 senatori. La bozza è stata poi sottoposta a plebiscito il 17 dicembre 2023, cui ha partecipato l'84,48% degli aventi diritto, e ha visto il rigetto della proposta con il 55,76% dei voti e, conseguentemente a quanto detto dal presidente Gabriel Boric, la fine ufficiale del processo costituente, con il mantenimento della Carta corrente, in vigore dal 1980.