In occasione della Giornata Internazionale delle Lingue dei Segni, che ricorre il 23 settembre, abbiamo intervistato Virginia Volterra, pioniera degli studi in materia e tra le massime esperte della Lingua Italiana dei segni...
Con il suo aiuto, abbiamo cominciato ad esplorare una realtà e una cultura poco conosciute: quella della (o delle) comunità dei sordi, utilizzatrice di una lingua “multimodale”, ricca, viva e sempre in evoluzione, con una sua propria grammatica e sintassi. Per proseguire in questo percorso, le ACLI nazionali hanno promosso a Roma - nella giornata del 25 settembre - lo spettacolo “Più sordi di me. Riflessioni tragicomiche a km0 sulle sordità degli udenti”, di Giuditta Cambieri e Argentina Cirillo. Ve ne daremo conto nel prossimo numero di POP…
D. La prima cosa che impariamo da te è che non esiste una lingua dei segni universale. Così come esistono le comunità dei parlanti, con le sue specificità e differenze, esistono comunità di segnanti. Ma, anche all’interno della LIS ci sono delle varianti? Esistono quelli che potremmo definire “dialetti”?
È vero, vengono usati dei segni diversi in aree geografiche differenti. Spesso anche all’interno della stessa città possono essere prodotti segni che hanno una loro specificità. Queste differenze tra i segni venivano attribuite ai diversi istituti che le persone sorde avevano frequentato da piccole. Per esempio, all’interno della città di Roma si potevano distinguere segni provenienti dall’Istituto Gualandi di Monteverde e segni dell’Istituto Statale di Roma di via Nomentana. Sarebbe molto importante condurre una ricerca oggi, per capire se queste differenze si mantengono nonostante la chiusura di queste strutture educative residenziali. Oggi, comunque, non si considera più la LIS un sistema linguistico monolitico e non si pone attenzione solo ai mutamenti che occorrono nel tempo o per collocazione geografica. Si considera la sua variabilità, osservando anche le diverse realizzazioni a seconda del contesto e delle caratteristiche degli interlocutori.
D. Nelle lingue dei segni è il corpo che “parla”, non solo i gesti. Possiamo dire che non si tratta di una operazione di traduzione rispetto al linguaggio orale e parlato, ma di interpretazione?
Anche quando si traduce da una lingua vocale a un’altra non ci si può limitare a una traduzione letterale, come nel caso delle espressioni idiomatiche. Inoltre, ogni lingua esige una rielaborazione che tenga conto dell’ordine degli elementi, e di altre caratteristiche strutturali. Questo è ancor più vero quando si traduce da una lingua che viaggia su un canale prevalentemente acustico-vocale ad una lingua che viaggia sul canale prevalentemente visivo-corporeo e viceversa. In ogni caso, è sempre più evidente che anche nelle lingue vocali il corpo ha un ruolo importante. Attualmente si parla molto di multimodalità sia nelle lingue parlate che nelle lingue segnate.
D. Come si evolve la lingua dei segni? E come si attestano i “nuovi” segni all’interno delle diverse comunità?
I “nuovi” segni si diffondono quando nuovi concetti irrompono nella scena dell’attualità. Pensiamo ad esempio all’epidemia di COVID 19. Qualche anno fa abbiamo pubblicato uno studio con colleghi sordi segnanti, in cui analizzavamo alcuni segni LIS utilizzati per riferirsi all’emergenza. Abbiamo osservato quanto veniva utilizzato sui social, in particolare Facebook e YouTube, dai segnanti che riferivano delle loro esperienze tra fine febbraio e maggio 2020. All’inizio, per riferirsi al virus, la comunità ha adottato un segno composto in cui si potevano riconoscere due segni già in uso nella LIS: CORONA e VIRUS. Poi si è fatto ricorso ad un segno preso in prestito dalla lingua dei segni giapponesi che però è stato modificato per meglio adattarsi alle configurazioni più usate nella LIS, e questo nuovo segno è stato poi adottato da tutti ed è entrato a far parte del lessico LIS.
D. Che peso ha in questo processo evolutivo quanto avviene nelle comunità dei parlanti?
Nel caso appena descritto ci sembra che siano avvenuti nella LIS processi molto simili a quelli descritti per l’italiano parlato: uso dei composti, prestiti da altre lingue e adattamenti alle caratteristiche specifiche delle lingue di arrivo. Anche se la modalità di trasmissione preferita è diversa, avvengono processi linguistici molto simili.
D. Il riconoscimento, la tutela e la promozione della LIS (e con ciò delle decine di migliaia di persone che utilizzano questa lingua) arriva molto tardi nel nostro Paese, appena quattro anni fa. In questo brevissimo lasso di tempo, riesci ad intravvedere dei miglioramenti nell’accesso alle risorse culturali e sociali?
Mi sembra che la LIS sia sempre più presente sugli schermi televisivi per rendere accessibili dibattiti politici (comizi o votazioni parlamentari) programmi di intrattenimento (ad esempio, il Festival di Sanremo). Ma vengono realizzati anche molti video nei musei, siti archeologici, mostre. Sempre di più le guide che illustrano i contenuti sono professionisti sordi. Finalmente anche le Università italiane sembrano dedicare più attenzione a questa lingua e alla formazione di interpreti.
D. Altro tuo insegnamento fondamentale è che la persona sorda non è muta, anzi, il più delle volte è bilingue! La maggior parte delle persone sorde conoscono la lingua dei “parlanti” attraverso il riconoscimento labiale e/o la scrittura. Ti sembra possibile e auspicabile che gli udenti possano apprendere almeno degli elementi basici delle lingue dei segni?
Un passo importante sarebbe che la LIS entrasse nelle scuole come una lingua che può essere appresa come le altre lingue straniere. Non solo nella scuola primaria ma anche nelle scuole superiori. Ci sono state alcune esperienze ma sempre troppo saltuarie.
Virginia Volterra ha svolto tutta la sua carriera presso il CNR di cui è stata anche Direttore dell’Istituto di Psicologia (1998-2002).
Attualmente in pensione continua a collaborare con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione al quale è associata. Gode di fama internazionale in molte aree della ricerca relative al linguaggio e possiede una solida esperienza nella organizzazione della ricerca. Nel corso della sua carriera ha collaborato ampiamente con colleghi europei e statunitensi all’esplorazione della comunicazione in bambini con sviluppo tipico e atipico, fornendo importanti indicazioni relative al ruolo del gesto nel primo sviluppo del linguaggio e nell’evoluzione del linguaggio umano. Ha svolto ricerche pioneristiche sulla lingua dei segni in Italia collaborando estensivamente con colleghi sordi e udenti. Recentemente è coinvolta sempre di più in diversi progetti che hanno l’obbiettivo di esplorare più a fondo la continuità e lo stretto collegamento esistente tra azioni, gesti, segni e parole in bambini che acquisiscono la lingua parlata o la lingua dei segni.
Da giugno del 2008 è diventata Honorary Fellow dell'University College a Londra. È autrice o coautrice di circa 250 pubblicazioni (libri, capitoli e articoli su riviste scientifiche) con editori nazionali e internazionali.
(Fonte: CNR https://www.istc.cnr.it/it/people/virginia-volterra)