Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città...

«L’aspettativa del paese nei riguardi di questo provvedimento è grande: per il percorso che ha avuto, le speranze che ha suscitato, l’impostazione strategica che ha assunto. Esso rappresenta indubbiamente un momento alto della politica di riforme avviata dal Parlamento che coglie e dà risposte alle trasformazioni della società, del mondo produttivo e dei bisogni degli uomini e delle donne del nostro paese». Così inizia la relazione che presenta il testo di legge per come si era venuto modificando per l'accorpamento dei diversi disegni sullo stesso tema.

Ed era vero: l'aspettativa era grande, ma l'attesa dovette prolungarsi di altri quattro anni per vedere finalmente approvata la legge. Ma sbaglieremmo se pensassimo che quello era stato l'intervallo di tempo tra la presentazione della proposta di legge e la sua approvazione.
Perchè in realtà di anni ne trascorsero ben 20...
E' la stessa relazione a ricordarcelo: «A partire dagli anni ’80 le donne, per prime, hanno sostenuto che il ciclo vitale, in tutte le sue stagioni, aveva il diritto di
vedere riconosciuti i suoi tempi come esperienza piena cui corrispondono diritti, risorse, poteri.
Nella X legislatura (atto Camera 5131) in Parlamento è approdata la prima proposta di legge d’iniziativa popolare, articolata attorno alla prospettazione di una politica dei tempi innovativa. Le donne, facendo uscire questa problematica dall’ambito privato della negoziazione intrafamiliare, avevano scelto di dare evidenza politica all’opportunità di ciascuna di intrecciare il tempo del lavoro, il tempo per se stesse ed il tempo di cura, obbligando non più se stesse, ma la comunità intera a progettare modelli organizzativi e di servizi compatibili con il desiderio di dare espressione e concretezza a esigenze più ricche».

Dunque furono le donne ad organizzarsi per presentare in Parlamento, il 9 ottobre 1990, una proposta di legge di iniziativa popolare: "Ciclo di vita, orario di lavoro, tempo nella città".
Leggere le relazioni che hanno presentato - a distanza di sedici anni l'uno dall'altro - i disegni di legge è veramente molto interessante e istruttivo, perchè si leggono le trasformazioni sociali e soggettive che hanno portato alla loro formulazione e che incalzano. Si legge il gioco tra il livello istituzionale e quello che oggi chiameremmo della "società civile", tra il pubblico e il privato, tra le istanze femminili e quelle maschili, e - sullo sfondo - una complessità sociale che avanza e che richiede risposte sempre più integrate, sempre meno compartimentate.
E’ interessante e soprattutto indicativo che, sia a livello nazionale che comunitario, risalgano al 2000 testi normativi in qualche modo “fondanti” rispetto alla densissima questione della cosiddetta conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in entrambi i quali, sia pure con vincolatività diverse, troviamo un’enfasi e un empito ideale che non si ripeterà, soprattutto nel buio decennio dal 2008 ad oggi.
Esistono delle formulazioni normative “belle”, che non solo sono capaci più di altre di descrivere un fenomeno per poi regolarlo, ma che prefigurano nuovi ordini e gli forniscono orientamento e risorse, aprendo così nuove strade e nuove opportunità. E’ il caso di questa Legge. Bellissimo l’articolo 1 (Finalità), che di fatto nomina gli “ingredienti” che devono trovare equilibrio nella vita di un essere umano, impegnando quindi la società – per il tramite del legislatore – a promuovere questa condizione. E poi si ricorda dell’immensa e multiforme fatica dei genitori che hanno a che fare con figli con handicap, prevede congedi per la formazione, e impegna le istituzioni a tutti i livelli a concorrere nel concreto al miglioramento della vita: «La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante: a) l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap; b) l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione; c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.». E poi, all’articolo 16, decide che lo sforzo ha da essere continuo e stabile, e che ci debba essere un monitoraggio con “distinzione” rispetto alla popolazione: «L'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) assicura un flusso informativo quinquennale sull'organizzazione dei tempi di vita della popolazione attraverso la rilevazione sull'uso del tempo, disaggregando le informazioni per sesso e per età.».

L'approvazione della legge portò molti enti locali a promuovere iniziative per la gestione dei tempi dei servizi delle città e molte istituzioni a promuovere la conoscenza e l'utilizzo dei congedi da parte dei padri.
Conciliazione campagna Cavandoli

In Italia il principale riferimento normativo sulla conciliazione dei tempi e sui congedi parentali è il decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53” (successivamente modificato e integrato), le cui previsioni hanno poi dato luogo a tutta una serie di provvedimenti – stabili e non – contenuti nelle Leggi di bilancio, nei decreti attuativi, nelle circolari dell’INPS e nei CCNL (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro).

8 marzo 2000. Viene approvata la legge n. 53 https://pop.acli.it/images/Conciliazione_ER_2014_R.jpg Redazione POP.ACLI