La disparità salariale è un fenomeno che riguarda tutti i Paesi. Ma perché accade e come si misura la disparità? Un piccolo aiuto per capirne qualcosa in più...

La ricorrenza è stata istituita dall’Onu nel 2019 per sensibilizzare sul divario retributivo di genere e promuovere soluzioni per superarlo. Come è scritto nella pagina dedicata del sito, in tutte le regioni del mondo, le donne sono pagate meno degli uomini, con un divario retributivo superiore al 20% [37% secondo il World Economic Forum] a livello globale. I progressi nel ridurre questa disparità sono stati lenti, anche perché una volta approvate le norme a garanzia della parità di retribuzione, l'applicazione effettiva nella pratica è stata molto più difficile da conseguire. Secondo le stime delle Nazioni Unite:
- le donne guadagnano 77 centesimi per ogni dollaro che guadagnano per lavoro di pari valore – con un divario salariale ancora più ampio per le donne con bambini;
- le donne hanno maggiori probabilità di essere disoccupate rispetto agli uomini in tutto il mondo, con ampie disparità a livello regionale;
- solo il 28% delle donne occupate in tutto il mondo gode del congedo di maternità retribuito;
- quasi il 65% delle persone al di sopra dell'età pensionabile senza una pensione regolare, a livello globale, sono donne;
- le donne svolgono almeno due volte e mezzo più lavoro domestico e di cura non retribuito rispetto agli uomini.

Se riduciamo l'analisi all'Unione europea, il nostro Paese risulta tra quelli in cui il fenomeno è più ridotto, battuto solo dal Lussemburgo: i dati Eurostat stimano il gap italiano al 4,3%, contro una media europea che si colloca attorno al 13% (dati 2022). L’Istat, nell’ultima rilevazione dedicata e pubblicata nel 2021 su dati 2018, stima la media del differenziale retributivo di genere al 6,2% (17,7%, nel comparto a controllo privato e 2% nel comparto a controllo pubblico), precisando che è più alto tra i dirigenti (27,3%) e i laureati (18%).
Come è possibile? Non c’è una legge che impedisce una tale discriminazione?
E poi, come spiegare queste differenze?
La “legge”, a livello nazionale e internazionale, esiste. Il divieto di discriminazione è già nella nostra Costituzione.
E allora?

Per aiutarci a comprendere, riportiamo uno stralcio dell’approfondimento prodotto nel dicembre scorso dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: “Cosa è e come si misura il Gender Pay Gap”:
«Spesso per parlare di Gender Pay Gap si utilizzano le differenze di retribuzione annua tra uomini e donne. Tale misurazione risente in misura molto maggiore degli impatti che sui livelli retributivi hanno la discontinuità dei percorsi di carriera, la temporaneità dei contratti, la diffusione del part time, l’investimento e le opportunità di carriera, gli effetti della contrattazione individuale, etc etc.
Nel 2018, le lavoratrici dipendenti hanno guadagnato circa 6.500 euro in meno dei lavoratori (31.335 euro contro 37.912), anche per effetto del più basso numero di ore retribuite: in media, 1.552 ore per le donne e 1.840 per gli uomini.
La maggiore diffusione tra le donne dei contratti part time contribuisce a spiegare tale differenza. Ma pesano anche altri fattori, legati alla stabilità della condizione lavorativa, alla continuità, la struttura dell’occupazione maschile e femminile.
Da questo punto di vista, un recente contributo fornito dall’Istat in occasione dell’Audizione sulla proposta di introduzione di un salario minimo legale ha evidenziato come il 27,8% delle donne occupate nel nostro Paese presenti almeno un elemento di “vulnerabilità lavorativa”, riconducibile alla sussistenza di un contratto a termine o collaborazione (autonomo senza dipendente), o presenza di part time involontario, o entrambe le condizioni. Tra gli uomini, la quota di lavoratori vulnerabili è del 16,2%. Tale condizione risulta particolarmente diffusa tra le giovanissime (45,7%), tra le straniere (40,7%) e tra le residenti al Sud (36,2%). Tale aspetto si riverbera direttamente su quello reddituale.».
Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Cosa è e come si misura il Gender Pay Gap | Approfondimento del 14 dicembre 2023

Dunque, «c’è qualcosa che non torna tra il dato ufficiale e la realtà del mondo del lavoro, così come sperimentata da tante donne», conferma la ricerca condotta sulla questione dalle ACLI nazionali (Area Lavoro e Coordinamento Donne), pubblicata nel marzo 2023 e distribuita con il Corriere della Sera.
Per indagare il fenomeno, è stato compiuto un articolato percorso di ricerca, che si è snodato lungo due direttrici: il ricorso alle banche dati del Caf Acli e del Patronato Acli e la realizzazione di un’indagine online, condotta nella primavera-estate del 2022 mediante questionario composto di 34 domande, con un campione validato di 1.060 risposte.
Così Chiara Volpato, responsabile nazionale Coordinamento Donne ACLI, presenta le ragioni di “Lavorare dis/pari. Indagine sulla disparità salariale di genere”: «Della disparità salariale si parla di solito attorno a quattro elementi fondamentali: il primo riguarda la sua esistenza e diffusione; il secondo la sua misura; il terzo l’andamento, ovvero il suo aggravarsi, e il quarto le misure di contrasto.
Sulla prima questione non ci sono dubbi: la disparità salariale tra donne e uomini si registra ad ogni latitudine. Non c’è paese che ne sia immune.
L’attenzione si è concentrata dunque molto, e giustamente, sulla sua misurazione. E qui la questione si complica…
Il gap salariale per Eurostat si aggira nel nostro Paese attorno al 5%. Ci interrogano molto le modalità e i criteri che entrano nella determinazione delle statistiche. Chi sono le donne italiane che Eurostat riesce a intercettare? E chi quelle – certamente molte meno, ma altrettanto certamente “altre” rispetto alle statistiche “ufficiali” – che hanno risposto alla nostra ricerca? Tra loro c’è un gap di quasi 25 punti. Un’enormità…
Come si misura la disparità? Quali elementi vengono presi in considerazione? E, soprattutto, quali vengono ignorati ed esclusi?
Certo Eurostat non vede le sacche di nero e di grigio che caratterizzano in Italia molta parte della partecipazione femminile al mercato del lavoro; non vede i “numeri” della partecipazione femminile; non considera il tempo della prestazione lavorativa... Non vede insomma, o non sa come trattare, quello che anche le nostre politiche hanno ignorato.
Ora, la situazione è peggiorata. Ed è peggiorata ovunque. Sappiamo di non sapere qual è realmente il differenziale retributivo tra donne e uomini nel nostro Paese. Siamo spaventate dalla dismisura di quello pensionistico, che invece è placidamente noto…».



18 settembre. Lavorare dispari. Giornata internazionale della parità retributiva https://pop.acli.it/images/SETTEMBRE2024/Lavorare_dispari.jpg Redazione POP.ACLI