Già nel 1957 le Acli dedicano un convegno di studi al tema dell'automazione, ripreso sessant'anni dopo nel 2017...

Il lavoro è un’attenzione costitutiva per le Acli, insieme alla centralità della persona che lavora. Così quando nel mondo del lavoro, a partire dagli anni ’50, sono state introdotte su scala sempre più vasta nuove tecniche produttive e la cosiddetta automazione, le Acli si sono domandate come e in quale misura tutto ciò avrebbe inciso sul lavoro umano.

L’origine del termine automazione risale al 1952 quando l’imprenditore statunitense John Diebold scrisse “Automation: the advent of the automatic industry”.  Prontamente le Acli nel 1957 sentono l’esigenza di dedicare il loro III Convegno Nazionale di Studio al tema “L’automazione e il mondo del lavoro”.

L’inaugurazione dei lavori del convegno nel pomeriggio del 7 giugno è preceduta dall’udienza che Pio XII concede, in mattinata, ai partecipanti al convegno, ai quali ribadisce l’importanza per i lavoratori di adattarsi alle esigenze del progresso tecnico, mantenendo sempre come faro del loro impegno in campo lavorativo la Dottrina sociale cristiana; affermando con forza che la parola biblica “Con sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gen.3,19) non sarà cancellata nemmeno dall’era nuova dell’automazione, ma sotto nuove forme manterrà la sua verità.

Il presidente centrale Dino Penazzato nella relazione di apertura si chiede quali potrebbero essere i riflessi dell’introduzione delle nuove tecniche produttive nei rapporti economici e sociali, sull’occupazione, sulla formazione professionale, sul fattore umano nel mondo del lavoro. Le preoccupazioni che serpeggiano tra i lavoratori devono essere accompagnate dalla consapevolezza   che la classe lavoratrice non è la vittima passiva di ciò che accade, ma è protagonista con la costante partecipazione a tutte le grandi scelte, come quelle dell’introduzione dell’automazione, non per rifiutare il fenomeno a prescindere, ma per orientarlo e comporlo in modo che si svolga senza violare i diritti dei lavoratori.  

Tra le relazioni del convegno merita un’attenzione particolare quella di padre Agostino Gemelli che si preoccupa dell’atteggiamento di resistenza dei lavoratori di fronte al progressivo avvento dell’automazione nelle aziende. Il pericolo paventato è soprattutto quello della disoccupazione o di una diminuzione di salario. Per padre Agostino questa graduale sostituzione dell’azione diretta dell’uomo a quella diretta dalla macchina, deve essere intesa più correttamente come un’integrazione del lavoro umano e non come una sostituzione. Il metodo migliore per far comprendere ai lavoratori questa verità è quello del colloquio, del dialogo, secondo i criteri della psicologia del lavoro. La conoscenza di tutte le fasi della lavorazione convincerà il lavoratore che con l’automazione si da semplicemente alla macchina il compito di risolvere dei problemi, alleggerendo l’uomo dai compiti più pesanti e ripetitivi.

Dai lavori del convegno emerge la convinzione che l’automazione sia regolabile con appropriate conoscenze ed interventi strutturali orientati al bene comune, regolati dallo Stato con la partecipazione delle imprese e dei lavoratori.

La domanda che sta alla base del convegno del 1957 risulterà poi la stessa che fa da fondamento all’Incontro Nazionale di Studi del 2017 “Valore lavoro. L’umanità del lavoro nell’economia dei robot”: la tecnologia sostituirà il lavoratore?

La domanda sessant’anni dopo si pone con una forza ancor più dirompente, questo perché stiamo assistendo nel mondo del lavoro a un’accelerazione dovuta alla combinazione tra l’innovazione tecnico-informatica e l’innovazione della comunicazione digitale.

Nella cosiddetta industria 4.0 cresce il peso del processo di automazione, che riduce il numero degli addetti e ne aumenta la specializzazione. Le operazioni meccaniche e ripetitive sono e saranno robotizzate, servono e serviranno persone per programmarle, per intervenire sugli errori, per impostare e verificare i cicli produttivi. Rimane il lavoro di progettazione, di innovazione, di creazione.

Dentro queste dinamiche i compiti del lavoro si distinguono: alcuni si assolvono in presenza, altri si assolvono in remoto. Di conseguenza cambiano i ritmi e gli stili lavorativi, chiedendo flessibilità dei tempi più che orari fissi, maggiore organizzazione, comunicazione e coordinamento, meno subordinazione e ripetitività, una continua ricerca di equilibrio tra autonomia e controllo.

In questo scenario in continuo divenire la domanda di lavoro va orientata, non può essere lasciata agli automatismi del mercato. In questo senso la preoccupazione principale delle Acli del 2017 è rivolta ai giovani. Le nuove generazioni sono sempre state quelle più penalizzate nel percorso di inserimento lavorativo. Oggi la loro difficoltà è ancora più evidente. Agli ostacoli tradizionali che incontravano i giovani al loro ingresso nel mondo del lavoro (disorientamento, inesperienza, precarietà) se ne aggiungono di nuovi dovuti a una trasformazione dei processi lavorativi. Diventa più difficile intercettare la direzione delle esigenze del mercato del lavoro e sono meno efficaci, quando non ostacolati, gli scambi di esperienze tra le generazioni.

Nel documento conclusivo dei lavori, le Acli propongono un sistema dell’istruzione e della formazione che si relazioni con un nuovo scenario, che chiede competenze differenti da quelle tradizionali.

Si tratta di creare modelli di insegnamento diversi e differenziati, di aprire la strada per una conoscenza complessa, meno nozionistica, di favorire la combinazione di modelli dove percorsi di istruzione, formazione e apprendimento avvengano in parallelo a esperienze in concreti contesti lavorativi, grazie a un coinvolgimento delle aziende.

Tutto questo dovrà implicare l’investimento sulla qualità delle scuole e sul miglioramento della preparazione degli insegnanti, soprattutto sul rafforzamento della filiera dell’istruzione e formazione professionale, sull'apprendimento per competenze e su una maggiore diffusione dell'apprendistato formativo.

Per le Acli, infine, un'economia e una società in così rapido cambiamento richiedono, anche per gli adulti occupati, percorsi ricorrenti di aggiornamento e sviluppo di nuove competenze professionali. Ecco perché la proposta di una formazione continua deve essere una priorità.

La tecnologia sostituisce il lavoratore? https://pop.acli.it/images/1957__Penazzato_convegno_studi.jpg Redazione POP.ACLI