Ma, forse, si può raccontare Geo anche con qualche parola in più...

Poche parole. Come avrebbe voluto e fatto lui: pennellate sintetiche a tratteggiare un ritratto.

La costanza della ragione.
Il rigore giansenista: coerenza e radicalità.
La curiosità e la libertà intellettuale.
Il lavoro di gruppo come metodo.
Un vissuto in trasformazione.
Un riserbo che non riusciva a nascondere emozioni e umanità.
Ma, forse, si può raccontare Geo anche con qualche parola in più….

Un giorno, era un tardo pomeriggio del lontano 1965, salii fino al sottotetto dell’ex convento dei teatini in via del Monte della Farina numero 64 e la signora Liliana mi introdusse. Lui cercava un giovane urbanista capace di dialogare con gli economisti per analizzare i primi, timidi, esperimenti di “pianificazione” territoriale a livello regionale, i cosiddetti CRPE che si andavano costruendo in giro per l’Italia. Già il termine, pianificazione, era nuovo e sospetto: nato sull’onda della cultura Vanoni/La Malfa/Saraceno, inviso alla destra che evocava staliniani cavalli cosacchi che si abbeveravano alle fontane di piazza san Pietro. Per lui invece il termine era una sfida.

Non sono facile ai colpi di fulmine, tuttavia questo signore, appena appena più anziano di me, seppe conquistarmi evocando sfide intellettuali che aprivano mondi sconosciuti e affascinanti ad un giovane cattolico, reduce dal duro tirocinio di una battaglia universitaria esaltante tanto più perché condotta in condizioni di minoranza nella facoltà di architettura di Roma con personaggi della statura di Renato Nicolini e di Massimo Teodori, miei colleghi eletti nel consiglio studentesco di facoltà.

Iniziò così un’avventura intellettuale e politica che ha segnato molte vite; una “microstoria” che, forse, in qualche momento si è fatta storia; e, quindi, battaglie, conquiste, vittorie e sconfitte. Non su campi di battaglia ma sul terreno squisitamente culturale e politico. E Geo Brenna era lì: un lucido nocchiero silenzioso, capace di ascolto e poi autorevole guida.
Senza lasciare mai nessuno indietro.

Dopo il Congresso di Torino il nostro Ufficio Studi era una piccola macchina da guerra intellettuale, certo qualitativamente superiore a quelli delle Confederazioni sindacali, a cui per analogia ci confrontavamo: e lui me ne dette la responsabilità, conservando per sé una sorta di supervisione politica che si estendeva anche all’area della formazione alla cui direzione esecutiva andò l’altro “colonnello” (così ci hanno chiamato, vero Franco?).
Ma era tutto il Movimento, in tutti i suoi settori operativi e funzionali che “viveva l’autonomia”, e era pervaso da un fervore creativo capace di invenzioni e di rischio: dalle Acli terra, al “settore città”, al “settore industria”, a G.A., all’internazionale. E tante realtà territoriali, dal Nord al Sud.

Eravamo figli critici delle lotte sociali e sindacali di quegli anni, degli entusiasmi nutriti dal Concilio Vaticano II, e vivevamo questo passaggio nutriti non solo dei nostri Maritain e Mounier ma anche del socialismo libertario di Rosa Luxemburg o del marxismo nordamericano, fortemente minoritario, dei Baran e Sweezy e dei “quaderni” rossi e piacentini. Ma eravamo figli, soprattutto, delle tensioni dei continenti e popoli impegnati nelle lotte di liberazione, a cominciare dal Viet Nam.

Non ci siamo mai sentiti soli, ma parte di una storia collettiva. Nel movimento operaio e nella “nostra” Chiesa, fatta di santi minori. E Geo era lì con noi, uno di noi.

Venne poi il ’70 e il ’71. Giorni esaltanti e giorni in cui, in molti, fummo chiamati a processo: giorni ancora oggi divisivi fra chi s’improvvisa storico e chi prese atto che il tetto di cristallo era infranto ma le schegge continuavano a penzolare, minacciose, sulla testa dei più fragili. Ma giorni di cui non mi sono mai pentito e custodisco nella memoria come preziosi, anche per le amicizie solidali che produssero.

Poi fu la diaspora, che si accentuò dopo Cagliari. Il sindacato fu la meta di molti: chi prima, chi dopo. Così ritrovai Geo in Corso Trieste 36, la sede della FLM o, come si dice oggi, della Fim-CISL, Fiom-CGIL, Uilm-UIL. Ma come per Geo, che visse l’avventura editoriale della COINES (Comaschi in esilio) con Emilio e don Virgilio Levi, anche io mi concessi una storia collaterale: con Lelio Basso nell’istituto che costituì il primo nucleo di quella che oggi è la Fondazione Lelio e Lisli Basso e che quest’anno compie mezzo secolo di vita. E, al primo incontro a Corso Trieste, mi domandai e gli domandai: “Geo ma come mai nella Uilm?” E lui mi raccontò che, avvicinato Carniti, lui gli disse che di lì a qualche mese ci sarebbe stata un’unica organizzazione sindacale unitaria: i metalmeccanici della Fim-CISL l’avevano già deliberata. Tanto valeva entrare in una qualunque delle tre che avesse avuto in quel momento un buco nell’organico…E Geo, pur non entrando mai in nessun organo dirigente della UIL (soprattutto perché era allergico come molti di noi alle tessere di partito), seppe anche in quella organizzazione, soprattutto nel ruolo di formatore, dare un contributo non effimero. Sempre riaffermando la priorità del suo metodo di lavoro, fatto di ascolto e poi di sintesi convincenti ma sempre provvisorie.

Per qualcuno di noi c’è stato anche un Geo privato. Anna Maria, mia moglie, ed io siamo stati a cena da lui e Giuliana a via Conca d’Oro: non mancava mai sulla tavola una bottiglia di “Inferno” della Valtellina. Ci siamo anche divisi le ore di una “tata”, la Tata Emma, per i nostri figli piccoli.

Ma questa è la storia di un’amicizia che vuole riserbo e memoria silenziosa.

 

N. Speciale - Geo Brenna

Pennellate sintetiche a tratteggiare un ritratto di Geo https://pop.acli.it/images/Tortora_2_ACLICOM.jpg Redazione POP.ACLI