Il mio primo ricordo di Geo risale alla metà del secolo scorso...

Il mio primo ricordo di Geo risale alla metà del secolo scorso. Siamo a Como, la nostra città nataIe, neI 1955. Entrambi universitari frequentiamo la FUCI locale animata da don Brusadelli, il direttore del quotidiano cattolico, "L’Ordine". C’è anche Giuliana "Popy" DeII’Acqua che diventerà poi sua moglie e per me una carissima amica, allora come nei nostri successivi anni a Roma.

Don Brusadelli è convinto che i "fucini" debbano mettersi al servizio di altre realtà dell’associazionismo cattolico. Geo ed io siamo destinati alle ACLI: lui per occuparsi della formazione ed io per seguire Gioventù Aclista affiancando il delegato provinciale che è un giovane operaio calzaturiero.

L’anno dopo andiamo al convegno nazionale estivo che si tiene a La Mendola e lì conosciamo Livio Labor che da quel momento in poi sarà il nostro punto di riferimento in tutta la vicenda aclista degli anni Sessanta che ci vede partecipi del gruppo dirigente nazionale. Per la verità Geo andrà a Roma prima di me chiamato da Labor a lavorare all’ufficio formazione e dopo la sconfitta suIl’incompatibiIità al congresso di Milano nel 1959, continuerà al suo fianco nell’opposizione che si riconosce nel periodico "MOC". Tutto cambia al congresso di Bari del 1561, Labor diventa presidente, Geo entra nella presidenza nazionale con l’incarico di riorganizzare l’ufficio studi e mi propone di raggiungerlo per occuparmi   dell’area delle politiche sociali. Faccio così il mio ingresso a Monti della Farina anche se non resterò per molto all’ufficio studi passando a occuparmi delle relazioni internazionali e poi della segreteria organizzativa. Ciò non impedirà una contiguità di impegno con Geo come con altri dei più stretti collaboratori di Labor e tra questi Marino Carboni, Domenico Rosati, Giorgio Pazzini, Luigi Borroni, Maria Fortunato, Gennaro Acquaviva. Tornando a Geo mi permetto di pensare che questi sono forse gli anni in cui egli dà il meglio di sé non solo sul piano intellettuale ma anche politico, animando un lavoro di analisi e di proposta programmatica che vedono le ACLI acquisire un ruolo centrale nel dibattito sulle prospettive di sviluppo democratico del paese. Lo dimostrano tra l’altro l’interesse suscitato dai convegni estivi di Vallombrosa di cui Geo è sicuramente il regista.

Quando nel 1968 Labor decide di impegnarsi direttamente in politica con l’Acpol (e poi con l’MPL) si pone il problema della sua successione. Ci sono più candidati possibili. Due si chiamano fuori: Ettore Morezzi, presidente delle Acli di Torino e forse il più titolato, è ingegnere alla Olivetti e preferisce continuare in azienda e Gabriele Gherardi, presidente delle ACLI di Bologna, un medico del lavoro che sarà poi vice sindacato socialista della sua città. Restiamo quindi Geo ed io e Labor ci chiede di dirimere tra noi i pro e i contro della scelta. Ricordo ancora oggi non senza una qualche emozione la nostra discussione seduti ad un tavolo del bar Canova a piazza del Popolo e la generosità di Geo nel convenire sulla mia candidatura.

A seguito del congresso di Torino del 1969 vengo quindi eletto presidente con Geo e Maria Fortunato, vicepresidenti. Presto ci rendiamo conto che le decisioni congressuali specie il “voto Iibero” degli aclisti che di fatto rompe con “l’unità politica dei cattolici”, suscita non solo la reazione della DC ma anche, più grave ancora per noi, produce forti perplessità nella Gerarchia Ecclesiastica ben riassunte dalla Iettera del card. Poma presidente della CEI nella primavera del 1970.

Come è noto, il rapporto con la Gerarchia si complica ulteriormente a seguito dell’”ipotesi socialista” di Vallombrosa in quello stesso anno e il successivo dialogo con la CEI in cui Geo, Maria ed io ci impegniamo con unità d’intenti si conclude negativamente prima con il ritiro degli assistenti ecclesiastici e poi con la “deplorazione” di Paolo VI del 1971. Le ACLI sono allora al centro di vivaci polemiche di stampa in cui figurano anche sulla prima pagina del suo giornale i corsivi critici rivolti personalmente a Geo e a me dal nostro mentore comasco don Brusadelli.

È su come reagire a questa situazione, complicata anche dalla scissione deII’MCL, che per la prima volta la consonanza di vedute tra me e Geo viene progressivamente meno fino a tradursi da parte sua in un dissenso esplicito al momento del mio tentativo, con la cosiddetta “autocritica”, di salvare il “contenitore”, come si disse allora, al prezzo di sacrificare in parte il "contenuto”.

La posizione di Geo era infatti intransigente e al congresso del 1972 me lo trovai all’opposizione da “sinistra” mentre a "destra” c‘era quella di Vittorio Pozzar. La conclusione della vicenda è nota e non necessita di essere richiamata.

Negli anni seguenti questa incomprensione tra noi si sarebbe ricomposta in particolare in occasione del referendum sul divorzio del 1974 che ci vedrà partecipare insieme al “Comitato dei cattolici del NO” con Pietro Scoppola, Raniero La VaIle, Piero Pratesi, Ruggero Orfei, Luigi Macario, Pierre Carniti per promuovere, questa volta con successo, quella libertà di voto dei cattolici che per prime le ACLI avevano proposto al congresso di Torino.

Caro Geo, ripensando ai vent’anni in cui abbiamo condiviso non solo l’impegno sociale ma a ben vedere il percorso di vita voglio dirti grazie di cuore per il molto che mi hai dato.

 

N. Speciale - Geo Brenna

In ricordo di vent’anni di impegno sociale https://pop.acli.it/images/Gabaglio_commem_Geo_Brenna.jpg Redazione POP.ACLI