Geo per me è stato prima di tutto un maestro, che mi ha insegnato a confrontarmi con il pensiero complesso...

La prima immagine che ho di Geo è nel suo ufficio all’ultimo piano di Via Monti della Farina, a destra, prima di entrare nella biblioteca che in origine era stata la stanza mortuaria dei frati del convento e che, di lì a poco, sarebbe diventata - in buona compagnia - il mio primo posto di lavoro alle ACLI di Segretaria di Redazione della rivista, divenuta mensile, Quaderni di Azione Sociale.

Un colloquio breve: io, ragazzina di neanche 19 anni, tra il curioso e l’intimorito, lui che, al di là delle istruzioni per poter iniziare, non aveva molto da dire se non mettermi alla prova.  Un colloquio che posso dire a ragione che mi ha cambiato la vita ed è stato l’inizio di un’avventura culturale e politica, collettiva certo, ma prima ancora, per me, profondamente formativa.

Nel frattempo, proprio sul finire di quel mio primo anno di “apprendistato”, Giovanna Brutti – una delle prime sociologhe laureate all’Università di Trento, impegnata nell’Ufficio Studi in una ricerca sulla condizione femminile – veniva ‘chiamata’ ad una altra vocazione: quella del Monastero Benedettino di Viboldone del quale successivamente sarebbe diventata Badessa. Fu lei – senza dirmi nulla prima – a fare la proposta a Geo di sostituirla in questa ricerca. Ancora un mettermi alla prova, senza lasciare la redazione di Quaderni, luogo prezioso di studio e di relazioni. Una pedagogia dura ma, soprattutto, un percorso entusiasmante e decisamente privilegiato.

Geo per me è stato prima di tutto un maestro che – a partire dalla pratica “traduzione” per la pubblicazione delle registrazioni dei suoi interventi e relazioni – mi ha introdotto e insegnato a confrontarmi con il pensiero complesso nemico della semplificazione, con un invito ad approfondire, a cercare la relazione, la connessione dei molteplici e diversi elementi che rendessero interpretabili ma non in modo semplificato, gli scenari che la storia ci presentava. Anzi, ogni passaggio obbligava ad approfondire ulteriormente la ricerca, con l’attenzione a non estrapolare il singolo elemento rendendolo assoluto.

Un esercizio che, sui diversi temi, diventava anche la modalità del suo fare formazione, una sua pedagogia che, nella stagione formativa che, proprio con lui ho vissuto dal 67/68 al 71, animando i gruppi di lavoro delle settimane invernali ed estive di formazione, non era astratta e si confrontava direttamente con un’altra complessità data dalle differenti culture, sensibilità, esperienze dei e delle partecipanti di diverse età, estrazione sociale e provenienza.

Un esercizio che ha alimentato il moltiplicarsi delle competenze e delle figure che hanno “abitato” in quegli anni il Settore studi e formazione ma che ha via via “contaminato” altri settori più operativi (Città, Industria, Terra, G.A, …), dando vita, di fatto, ad un “cervello collettivo” che ha animato sperimentazioni organizzative e formative in molte sedi locali, dove la formazione diventava azione. Mai autoreferenziale e sempre connessa con la realtà esterna, aperta a dialoghi e a nuovi ingressi… per adempiere al ruolo trasformativo che le ACLI avevano assunto con la duplice scelta lanciata dal Congresso di Torino: quella dell’autonomia, certo, ma anche quella, spesso sottaciuta, del percorso per il superamento del “sistema” capitalista che in quegli stessi anni aveva generato la stagione dell’”autunno caldo”, animato delle lotte del Movimento operaio e studentesco.

La sfida lanciata dalle ACLI in quegli anni è stata grande e Geo ne è stato convinto protagonista. Fino alle estreme conseguenze e giocando fino in fondo la sua responsabilità di Vice Presidente Nazionale.

Due pennellate, attraverso due documenti:

- quello da lui presentato e approvato dal Comitato Esecutivo delle ACLI del 17 luglio 1971 “Sulla situazione economica, sociale e politica”, sintesi di una stagione che ha collegato la ricerca e l’azione delle ACLI con i processi in atto nel movimento operaio e sindacale ma anche con lo scenario economico e politico; 

- l’intervento conclusivo al XII Congresso Nazionale di Cagliari 13 al 16 aprile 1972.

Sarebbe troppo lungo entrare nel merito di ciascuno ma (grazie a Simone e ad Alberto) li ho e li metto a disposizione, sottolineando, anche qui, la profondità e l’onestà della sua ricerca e citando direttamente la sua testimonianza del fatto che “in ormai molti anni di esperienza a livello centrale, raramente il lavoro svolto è stato così ricco e articolato, vivo e dinamico, punto di riferimento per la periferia, soggetto di proposte, luogo di sintesi”.

Ho una sua immagine proprio legata a quel Congresso che mi torna spesso davanti ed è quella del suo camminare su e giù da solo in uno dei corridoi del Centro Congressi, mettendo in fila i pensieri e concentrandosi in attesa del suo turno per intervenire.

Proprio in questo stesso intervento Geo, respingendo l’accusa di voler “dissolvere” le Acli nella classe operaia difende la specificità di questa esperienza e di questo impegno “riconducendo[lo] anche al significato profondo del nostro essere cristiani”, riaffermando, allo stesso tempo la propria dimensione altrettanto profonda di laicità che lo ha sempre contraddistinto.

«La fede nell’evento di Cristo – dice Geo, citando il teologo Johann Baptist Metz, "padre" della Teologia politica – è una forma critica, sovversiva, liberante, ricreatrice nei riguardi dei limiti che si trovano inevitabilmente in ogni situazione storica.

In questa prospettiva la fede cristiana in Dio creatore significa la fede in un progetto che l'uomo deve scoprire e in parte inventare e creare. La sua presenza liberatrice e stimolante dà agli uomini la possibilità di lottare contro l'alienazione, ma non interferisce e non si sostituisce al loro impegno e alle loro responsabilità.

Un'interpretazione della fede cristiana di questo tipo è ciò che fonda il nuovo modo di essere chiesa di molti cristiani che rivendicano, come popolo di Dio, di essere insieme fonte e destinatari dell'insegnamento complessivo della chiesa.

Ci gloriamo, di solito, nel ricordare che in alcune encicliche della fine dell'8OO il concetto del sindacato riuscì pian piano a superare quello delle corporazioni perché dei cristiani avevano scelto il sindacato. Perché dovremmo aver paura? che le nostre scelte oggi, il nostro impegno oggi possano in un domani cambiare lo stesso immediato tipo di giudizio storico concreto anche all'interno del magistero della chiesa?».

Al di là di ogni concezione diplomatica dei rapporti, esprime e chiede coraggio nell’esprimere un giudizio  «come cristiani prima che come aclisti» sull’atteggiamento assunto dalla gerarchia nei confronti delle ACLI (e non solo) considerando questo impegno «come una delle dimensioni per la conversione cristiana».

Queste poche righe non danno certo il senso del vissuto e della condivisione che mi ha legata a Geo nel lavoro comune nelle ACLI, ma anche dopo, fino a qualche anno fa.

In questi giorni, proprio ripensando a questa lunga storia, ho realizzato che in fondo, non solo quello che (anche) da lui ho imparato e che mi ha guidato nella mia ancor più lunga stagione aclista e che, ancora, mi sta guidando in questa più recente avventura di Solidarius Italia è un binomio che a lui credo sarebbe molto caro:

- da un lato l’economia: un’economia solidale, trasformativa di questo sistema neoliberista globalizzato che è diventato sempre più spietato. Un’economia che vuole avere al centro la persona e non il profitto, la giustizia e non la disuguaglianza;

- dall’altro la formazione, non teorica e astratta ma frutto di ricerca-azione e che si fa essa stessa azione.

Come non averlo nel cuore…

Grazie, Geo!

 

 N. Speciale - Geo Brenna

A ricordo di Geo https://pop.acli.it/images/Tortora_commem_Geo_Brenna.jpg Redazione POP.ACLI