Contrariamente alle apparenze, Geo aveva una grande sensibilità...

Per la scomparsa di Geo Brenna la memoria aclista è andata immediatamente alla fase più agitata della storia del movimento: il dissidio con la gerarchia ecclesiastica, come riflesso della scelta d’autonomia delle Acli, le scissioni che ne hanno sfigurato l’immagine e il confronto tra le correnti, di una delle quali, la sinistra, Geo è stato il riferimento e il leader riconosciuto.

Ma un simile approccio mette in evidenza solo una parte dell’apporto di Geo Brenna alla vita delle Acli sia nei settori in cui ha esercitato la sua competenza, la formazione dei lavoratori, e soprattutto la politica economica come elaboratore di una peculiare posizione delle Acli nel dibattito sulla programmazione economica che caratterizzò la politica italiana negli anni del centrosinistra.

E’ per evitare questa deformazione del ricordo che ritengo doveroso soffermarmi innanzitutto sulla prima fase della presenza di Geo in sede nazionale come responsabile, prima, dell’ufficio formazione e, poi, dell’ufficio studi, in collaborazione con Livio Labor.  Così Geo Brenna coopera direttamente a definire la linea generale del movimento nella ricerca di una politica economica rispondente alle attese di un mondo del lavoro in trasformazione, il cui primo capitolo era costituito da una riforma dell’economia liberata dagli automatismi di un impianto mercantile che riproduceva e alimentava disuguaglianze ed ingiustizie.

Quando Labor prende in mano le Acli, Geo Brenna ha già avviato il suo lavoro alla formazione, coadiuvato, tra gli altri, da Giorgio Pazzini nella animazione dei corsi. Può ora dedicarsi totalmente alla riorganizzazione dell’ufficio studi della sede nazionale fino ad allora affidato o a reduci del corporativismo fascista o a personale avventizio o da figure già impegnate altrove (parlamento o istituti cattolici) e dunque non in grado di applicarsi a tempo pieno alle ricerche promosse dalle Acli.

Fin dalla metà degli anni 50, quando Ezio Vanoni enunciò l’idea di uno schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito, le Acli avevano assunto una posizione di sostegno al disegno della programmazione economica nel quale vedevano la via per realizzare una crescita intensiva ed armonica di tutte le dimensioni, pubbliche e private, dell’economia.

Quando, con l’avvento del centrosinistra sembrò delinearsi una cornice di consenso al progetto di un piano quinquennale per l’economia, le Acli misero in campo tutto il loro potenziale di ricerca e di studio nella alimentazione del dibattito culturale e politico che precedette e accompagnò l’elaborazione di quello che fu chiamato il Piano Pieraccini. E toccò a Geo Brenna di tenere il timone di una difficile navigazione per dimostrare che il piano in questione non era né il “gosplan” autoritario di impronta sovietica né una trovata per dare una veste sociale agli esiti degli equilibri di mercato.

Le Acli produssero pure una versione a fumetti che venne diffusa in tutti i circoli per alimentare il dibattito di base mentre al vertice si seguiva passo-passo il processo deliberativo del Parlamento che aveva scelto (e parve la scelta giusta per evitare ristagni e deviazioni ) di dare veste di legge ai singoli capitoli del piano. Ma Geo insisteva per il completamento del quadro legislativo chiedendo il varo sollecito della “legge sulle procedure” cioè dei meccanismi di delibera della spesa per il finanziamento dei singoli capitoli.

Su questo punto, però, le Acli non riuscirono a sormontare la resistenza passiva dei potentati economici e soprattutto delle corporazioni e neppure ad incidere sul costume della burocrazia. Dovendo conciliare le scelte del piano che, per ogni materia imponevano di indicare una ed una sola priorità, i burocrati risolvevano la questione con l’indicazione di una serie indefinita di priorità, ciascuna contrassegnata da un numero progressivo (prima priorità, seconda priorità, terza, quarta, quinta e così via).

Era anche a queste resistenze ed a questi trucchi che Geo si riferiva nelle sue valutazioni negative sull’andamento del processo di programmazione, condensate in una tagliente relazione tenuta a Vallombrosa sotto il titolo “Impresa, movimento operaio, piano”, nella quale dimostrava che il piano aveva avviato una vera e propria marcia del gambero, nel senso del conseguimento di risultati opposti a quelli messi in preventivo nel programma: espansione dei consumi privati in luogo dei consumi pubblici.

Nella prima metà degli anni Sessanta le Acli avevano raggiunto livelli mai prima toccati di presenza sui problemi del paese. Non erano né sindacato, né partito, né figura istituzionale cattolica, ma si dimostravano in grado di influire sul sindacato sostenendo l’introduzione della incompatibilità parlamentare, di richiamare le forze politiche ad una doverosa attenzione alle domanda di giustizia del mondo del lavoro e, nel mondo cattolico, ponendosi in prima linea sui temi del rinnovamento della chiesa secondo il magistero di Papa Giovanni e del Concilio Vaticano II. Il Congresso di Torino avrebbe certificato il conseguimento di questi traguardi e il presidente Labor li compendiava nella formula delle  “Acli al tetto”.

Si aprono a questo punto tre fronti di attrito: con la Cisl, il “sindacato moderno” refrattario all’idea di una nuova unità sindacale propugnata dalle Acli; con la Dc che si rivela non in grado di relazionarsi con entità sociali non più disponibili a svolgere una funzione collaterale; con l’episcopato che, su impulso della Segreteria di Stato, tende a portare le Acli dentro la cornice delle “opere di chiesa” sottoposte alle direttive pastorali/politiche della Gerarchia.

Sono anni difficili per la dirigenza delle Acli sulla quale cala il macigno della deplorazione di papa Paolo VI. E c’è qui l’episodio, inedito nelle vicende ecclesiali, dell’incontro tra una delegazione dei vescovi e una delegazione di laici, i primi in nome della disciplina, gli altri in nome della autonomia.  Qui Geo dà il meglio di sé come alfiere delle posizioni conciliari sulle quali si attestavano le Acli.

A chi scriverà la storia del “dopo Torino” non potrà sfuggire che due furono le posizioni a confronto dentro le Acli: coloro che consideravano le tesi di Torino come un punto di arrivo della elaborazione aclista, sul quale attestarsi per consolidarlo come piattaforma culturale del movimento e coloro che, invece, ne facevano la premessa per ulteriori sviluppi, secondo la nota formula del missile a tre stadi -sindacale, sociale e politico – dove solo l’ultimo stadio, quello politico, raggiunge il bersaglio. Qui Geo entra, oggettivamente, in contrasto con Livio Labor, ormai impegnato nell’Mpl, pur evitando con lui ogni polemica aperta. Ma il contrasto è nelle cose. E si manifesta nella sua pienezza quando il duro intervento di Paolo VI sulle deviazioni dottrinali e pastorali del gruppo dirigente delle Acli, guidato da Emilio Gabaglio, apre lo spazio ad una riflessione che viene definita come autocritica.

Il quadro si aggrava per via dei licenziamenti in sede nazionale che colpiscono, selettivamente, quanti sono ritenuti responsabili degli orientamenti censurati. Ed è qui che nasce l’aggregazione della corrente interne detta “sinistra Acli”, della quale Geo Brenna è il referente.

Contrariamente alle apparenze, Geo aveva una grande sensibilità per le implicazioni umane delle scelte politiche, posso affermarlo con sicurezza rievocando un episodio di quei tempi tormentati. Fu durante una riunione di presidenza particolarmente convulsa che vedemmo Geo Brenna scivolare silenziosamente sotto il tavolo. Fummo tutti spaventati, trovammo un medico che lo rianimò e consigliò di portarlo a casa, lontano dal luogo del conflitto. E tocco a me di portarlo in macchina.

Durante il tragitto nel traffico romano Geo mi manifestò tutto il suo dolore per quanto stava accadendo nelle Acli con un atteggiamento di serena valutazione dei comportamenti di tutti noi. Non mi sentii di replicare ricordando quanto accaduto durante la riunione che avevamo interrotto. Ma di quella analisi serena e quasi distaccata mi sono sempre ricordato durante il mio turno di presidenza quando l Sinistra Acli mi bersagliava come moderato. No, Geo Brenna non era un freddo intellettuale entrato nella Acli dalla parte del cervello. Era un dirigente completo, ricco di buone intenzioni e di sentimenti umani.

Qualche anno dopo, a bocce ferme, ci ritrovammo su invito di Gianna Bitto ad una riunione di veterani, ormai completamente al di fuori di ogni residua suggestione aclista. Ci vedemmo in una sezione dei Ds, vicino a Ponte Milvio, per uno scambio di vedute sulla situazione del Paese. Geo e il sottoscritto ci appartammo per qualche riflessione particolare. Geo mi raccontò della sua esperienza nel settore formazione della Uil dove si era rifugiato con altri dirigenti aclisti come Luigi Borroni e Nestore Di Meola.

Avevamo tutti qualche ammaccatura da nascondere ma tra di noi il dolore si mescolava con la nostalgia.

 

 N. Speciale - Geo Brenna 

Per Geo Brenna https://pop.acli.it/images/Rosati_270.jpg Redazione POP.ACLI