Sotto la guida di Livio le ACLI ebbero un ruolo da protagoniste, in particolare nell’ambito sindacale...

Nel saggio La profezia laica di Livio Labor, apologia di un cristiano senza paura, il più bel testo su Livio che mi sia capitato di leggere, pubblicato nel maggio 1999, a qualche settimana dalla sua scomparsa, Domenico Rosati scrive che le Acli “con lui avevano contato come mai era stato prima e, si può dire senza offesa per nessuno, come mai sarebbe stato dopo”.

Riandando con la memoria al decennio della presidenza Labor che ho avuto il privilegio di vivere al suo fianco penso anch’io che le ACLI abbiano esercitato allora con grande impatto, il loro ruolo di “gruppo di influenza ideologico-culturale  e di pressione sociale” (per usare la definizione cara a Livio) nei diversi ambiti del loro impegno, sociale, sindacale , politico ed  anche  ecclesiale. Basti ricordare l’interesse ma anche le polemiche suscitate dai loro Congressi a dai convegni estivi di Vallombrosa, per rendersene conto.

Dei diversi ambiti in cui sotto la guida di Livio le ACLI ebbero un ruolo da protagoniste vorrei dedicare queste brevi osservazioni all’ambito sindacale, forse il meno esplorato e conosciuto.

L’interesse di Livio per il sindacalismo ha peraltro origini lontane. Se ne occupa all’ICAS scrivendo su “Orientamenti Sociali” numerosi all’articoli tra Il 1948 e il1950 per commentare la scissione della Corrente sindacale cristiana dalla CGIL, la nascita della LCGIL e poi della stessa CISL. Negli anni successivi entrato a far parte della Presidenza nazionale delle ACLI, è a lui che al convegno de La Mendola del 1956 destinato a delineare i contorni dell’azione sociale aclista, è affidata la relazione relativa all’ambito sindacale. È un momento non semplice dei rapporti tra le ACLI e la CISL. L’allora presidente Penazzato lamenta che al   congresso della CISL del 1955 le ACLI siano state “ignorate”. A Pastore che considera un “errore se si considera la CISL come continuazione del sindacato bianco, Labor risponde che “non va mai dimenticato che la CISL occupa in Italia l’area di un sindacato di lavoratori cattolici”. Ma alla proposta di Rapelli di creare una sorta di “corrente cristiana nella CISL” risponde negativamente, rivendicando però alle ACLI il compito di orientare e guidare i propri aderenti e i lavoratori cristiani anche in campo sindacale”, attraverso la creazione di Commissioni sindacali a livello provinciale e nazionale, pronunce su temi sindacali, la formazione di militanti sindacalisti, lo sviluppo di Nuclei aziendali aclisti nelle fabbriche.

Queste saranno le linee di fondo dell’azione aclista in campo sindacale (i Gruppi di fabbrica prendono il posto dei Nuclei   aziendali) anche quando Labor ne diviene presidente dopo il Congresso di Bari del 1961.

Intanto la società italiana vede profondi cambiamenti, sono gli anni del miracolo economico e le rivendicazioni sociali si fanno più intense e pressanti, sempre più spesso frutto di iniziative unitarie, dal basso per così dire, portate avanti dalle categorie dell’industria, in primo luogo dai metalmeccanici.

In questo contesto si pone quindi l’esigenza di un rinnovamento del sindacato a livello confederale che le ACLI di Labor propugnano con decisione in almeno quattro momenti di particolare importanza (congressi a parte).

Il primo è il convegno del 1964: “Problemi e prospettive di un sindacalismo moderno e democratico”, significativamente presieduto da Giuli Pastore e che vede tra i relatori anche il prof Mario Romani, il teorico del “sindacato nuovo”. E’ in questa occasione che Livio parla per la prima volta dell’incompatibilità tra cariche sindacali e mandati elettivi e di partito come pre-condizione (non la sola naturalmente) dell’autonomia e quindi della possibile unità del sindacato.

Temi che saranno ripresi nelle tavole rotonde del 1966 e del 1967. La prima, “Sindacato di partito o unità sindacale democratica” dedicata a contrastare l’ipotesi avanzata dal segretario della UIL Viglianesi di un sindacato “socialista” e la seconda a riproporre le ragioni dell’unità d’azione come via all’unità sindacale fondata sulla piena autonomia rispetto ai partiti politici.

Temi ripresi e rilanciati al convegno di Vallombrosa dell’estate del 1968 dove, peraltro, in presenza di sindacalisti di vari paesi europei, viene proposta anche l’esigenza dell’unità a livello della Comunità Europea, superando la divisione storica tra i sindacati “liberi” e i sindacati “cristiani”. Obiettivo che sarà   raggiunto nell’arco di un quinquennio   con la creazione della Confederazione europea dei sindacati a cui aderirà anche la CGIL.

E’ impostante notare che queste iniziative vedono una partecipazione trasversale rispetto alle tre confederazioni, dei sindacalisti che nelle rispettive organizzazioni si fanno portatori, sia pure con modalità diverse delle stesse idee di autonomia e unità proposte dalle ACLI. C’è la minoranza della CISL, con Macario, Carniti, Armato, ci sono i   socialisti della CGIL con Boni, Didò ma anche i comunisti Trentin e Lama, c’è Benvenuto della UIL tanto per citare i più conosciuti.  Non per nulla Gino Giugni parlerà delle ACLI come “quarta confederazione”.  Tutto ciò suscita naturalmente critiche e polemiche. Particolarmente dure sono quelle che vengono dalla CISL di Storti. Il settimanale “Conquiste del lavoro” scrive di ACLI “presuntuose” che si vogliono “pubblico ministero nella causa dell’unità sindacale”, tanto per fare un esempio.

Al momento del commiato dalle ACLI, nella sua relazione al Congresso di Torino del giugno 1969 Livio traccia un bilancio  dell’azione  aclista in campo sindacale: “Possiamo legittimamente sostenere di   aver contribuito all’affermazione   della  causa dell’unità sindacale con un’azione che ha avuto davanti a sé ostacoli, incomprensioni, remore , ma che oggi è riconosciuta positiva ed utile per tutta la classe lavoratrice italiana”.

Coglie però anche l’occasione per inviare un ultimo messaggio sia alla CGIL, che tiene il suo   congresso a Livorno in contemporanea a quello aclista ed alla CISL che lo celebrerà il mese successivo. Nel primo caso si rivolge in particolare alla corrente maggioritaria – quella comunista – dato che con quella socialista sul tema dell’autonomia e delle incompatibilità c’è da tempo piena coincidenza di vedute.  Pur dando atto alla corrente comunista di “un crescente sforzo di autonomizzazione dai condizionamenti politico-partitici” Livio chiede che dal  congresso della CGIL  vengano assunte scelte nette in tema di incompatibilità come in parte almeno sarà effettivamente deciso, come Livio avrà  modo di rilevare nella  sua replica al  dibattito congressuale, l’ultimo giorno dei lavori.

Rispetto all’imminente congresso della CISL Livio è ancora più diretto. Preso atto che questo, stante quanto emerso nella fase preparatoria, è avviato a prendere  decisioni positive in  materia di incompatibilità, egli si spinge oltre esprimendo l’opinione che “l’autonomia è certamente meglio garantita  da chi crede nell’incompatibilità” e l’auspicio “che l’esito del congresso della CISL dia spazio e responsabilità a chi a quella battaglia ha condotto in posizione di traino e non di rimorchio”.

Così tuttavia non sarà: la  minoranza vincerà nel merito delle scelte sull’incompatibilità ma sarà sconfitta da Storti nella votazione  per gli organismi dirigenti. “La sconfitta dei vittoriosi” come scriverà Rosati su “Azione sociale”.

Credo che anche da questa sommaria ricostruzione emerga che effettivamente le ACLI di Labor abbiano avuto un ruolo significativo nelle vicende sindacali che hanno aperto la strada alla prospettiva di un’unità sindacale organica nel nostro Paese fondata sull’autonomia e la più ampia partecipazione democratica dei lavoratori.

Un ruolo riconosciuto da autorevoli studiosi del movimento sindacale oltre che dalle testimonianze di protagonisti di quelle vicende a cui si più aggiungere che le ACLI furono la sola organizzazione invitata a titolo di osservatore a Firenze 1 nell’autunno del 1970 alla prima riunione congiunta dei consigli generali CGIL CISL e UIL destinata ad avviare il percorso verso l’unità organica.

Una prospettiva com’è noto tramontata nel 1972 con la scelta di ripiegare sulla soluzione della Federazione unitaria CGIL CISL Uil. Anch’essa poi archiviata dopo la rottura di San Valentino del 1984. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo   dell’unità sindacale nulla toglie alla validità dell’impostazione delle ACLI di Labor né al peso che esse ebbero all’epoca nel propugnarne la realizzazione.

A riprova di quanto sopra vorrei chiudere con un aneddoto che mi riguarda personalmente. Quando venni eletto nel consiglio confederale della CISL nel 1977 mi venne chiesto dai probiviri di dimettermi dal consiglio nazionale delle ACLI essendo i due incarichi incompatibili dato che le ACLI erano annoverate tra le organizzazioni “interferenti” con l’organizzazione sindacale.

Sì, le ACLI di Labor avevano lasciato il segno.

Le ACLI di Livio Labor https://pop.acli.it/images/LABOR/foto_Gabaglio.jpg Redazione POP.ACLI