Ci sono persone che lasciano segni nelle coscienze delle persone e delle organizzazioni, figuriamoci nei figli...

Intanto per prima cosa ringrazio le Acli per averci invitati, a me e ai miei fratelli, e per aver organizzato questo incontro. Mi hanno incaricato di nuovo di dire qualcosa su papà. Ovviamente non è compito mio parlare del politico, anche perché una volta mi invitarono a Sassari, poco dopo la morte di papà, a partecipare a un convegno e improvvisamente mi chiamarono a parlare. Io ero seduto in platea, non ero preparato. In pratica il giorno dopo sul giornale c'era scritto che avevo denunciato il forte mobbing clericale che aveva subito papà, andando assolutamente contro le mie volontà. Assolutamente contro quello che sarebbe stata la volontà di mio padre. Diciamo che quindi da lì ho capito che era meglio che smettessi magari di esprimere opinioni e limitarmi ai ricordi familiari. Mi sono scritto qualcosa, ovviamente, perché mi capita ogni tanto di parlare in pubblico, però parlare di mio padre mi crea un po’ di emozione. Sia perché per alcuni giorni dovendomi preparare devo pensare. Devo rimettere in piedi tutta una serie di ricordi e di situazioni. Insomma, è una cosa impegnativa. Mi scrivo qualcosa anche per non dimenticarlo.

Credo che sia una cosa da sottolineare con orgoglio che papà non è Presidente delle Acli da più di 50 anni, è mancato da 25 anni. È bello che quest'associazione lo ricordi ancora, in questo periodo di successi effimeri di politici che raggiungono vette altissime in pochissimo tempo e in altrettanto pochissimo tempo spariscono. Chi ha perseguito con coerenza e coscienza, le proprie idee, i propri ideali, lascia un ricordo che resta insomma.

Papà è diventato presidente nazionale delle Acli 10 mesi prima che io nascessi, quando mio fratello maggiore aveva un paio di mesi e al mio fratello minore mancavano due anni alla nascita, e ha fatto il Presidente delle Acli per circa 10 anni; poi ha dato vita a un partito politico, poi è confluito nel PSI, poi è diventato Senatore a Trento. Quindi era sempre stato molto impegnato fuori di casa. Nonostante questo, posso dire che noi abbiamo avuto un padre molto presente. Non so come facesse, ma comunque riusciva ad esserci sempre. Inoltre era incaricato di darci le punizioni la sera quando tornava che di solito meritavamo. E quindi lo ricordo come un padre sempre molto presente.

Abbiamo ricordato Gigi Borroni che aveva scritto, lo ricordava Erica, che ci sono persone che lasciano segni nelle coscienze delle persone e delle organizzazioni, figuriamoci nei figli. Ovviamente siamo stati segnati tutti e tre. Noi che abbiamo le sue stesse qualità. Marcello è l'uomo d'azione, fa il pilota d'aereo, non conosce la paura. Io sono quello che ha sempre saputo scrivere un po’ meglio della media. Enzo è quello pio, ha qualche amico prete, eccetera. E quindi abbiamo assunto le sue qualità, solo che lui le aveva da solo tutte quante e noi invece ce le siamo divise in tre.

Era un grande fautore della formazione come strumento per la crescita e l'emancipazione dei lavoratori e delle persone. Era sempre concentrato su questo e non ci risparmiava. La formazione cristiana in primis mi ricordo, insomma, ovviamente ci teneva molto.” Devi essere giusto, leale e coraggioso”, la frase che ci ripeteva in continuazione. Uno si chiedeva, okay, giusto, leale pure coraggioso…. non era facile, però dopo tanti anni queste sono le cose che ancora ci ricordiamo. Io ho smesso di fumare dopo 40 anni, credo, anche perché sentivo la sua voce nella testa. Smetti, fa male, fa male.

Ricordo con tenerezza quando una domenica da piccoli, era il periodo della guerra del Vietnam, ovviamente, perché nella nostra giovinezza era sempre il periodo della guerra del Vietnam che era tutte le sere al TG. E mi ricordo, ci ha caricati tutti e tre in macchina. Ci ha fatto caricare tutte le armi che avevamo, ovviamente giocattolo, armi di plastica, e ce le ha fatte buttare in una discarica a Fiumicino. E abbiamo passato questa domenica così, tutti allegri per dare un segno contro la guerra che imperversava. E devo aggiungere che se lo ricordo ancora dopo più di cinquant'anni il segno ha avuto il suo effetto. Ovviamente a Natale poi ognuno ha richiesto le armi che aveva perso. Perché diciamo il segno era importante, ma anche giocare.

Riguardo all'educazione religiosa, Gigi Covatta, che è mancato da poco, una volta mi disse: “tuo padre politicamente era considerato vicino ai preti. Per noi collaboratori più giovani, più stretti, non era vicino ai preti, era proprio uno di loro”. Le Acli erano un po’ i nostri concorrenti, la famiglia di papà, fino a quando ‘finalmente’ si è dimesso. Una volta che sono partito per lavoro, mi ricordo, ero un giovane praticante dell'AGI, papà ha visto l'elenco dei giornalisti che erano presenti nel viaggio e fra questi Lorenzo Scheggi. Mi disse “ah, questo era un ragazzo che stava alle Acli” e sono andato a cercare questo ragazzo. Il papà non si rendeva conto che il ragazzo aveva 15 anni più di me almeno; quindi, se io ne avevo 25 lui ne aveva 40 ma per lui erano sempre ragazzi. 

Quando lasciò le Acli, ci sono stati momenti di sofferenza quando qualcuno metteva in dubbio la sua fedeltà non alla DC, ma alla Chiesa e a Dio. Per questo volevo raccontare un aneddoto divertente che mi ha raccontato un mio amico quando tornammo dal campo dei lupetti. Tornavamo dagli scout, doveva essere il 1970 o ‘71. Abbiamo dato un passaggio a un nostro amico e i genitori gli dissero “va bene, torna con il papà dei tuoi amici, però guarda, siccome ci hanno detto che si è un po’ allontanato dalla Chiesa stai attento a quello che puoi sentire”. Tornando da questo campo ci siamo fermati a Messa. Noi avevamo 10-11 anni e al termine della messa, papà aveva l'abitudine di rimanere 10 minuti, 20 minuti, mezz'ora a pregare. Per dei bambini era pesante dopo la messa, attendere un’altra mezz'ora in auto che papà terminasse di pregare. Questo mio amico mi raccontò che poi lui, tornato a casa, disse al papà: “per fortuna che si è allontanato dalla Chiesa, altrimenti stavamo ancora là”.

Abbiamo trovato anche abbiamo trovato una lettera del monsignor Macchi che io non sapevo chi fosse, ma Domenico Rosati mi disse che era il segretario di Papa Montini. Che scriveva sostanzialmente: “ti ho visto in televisione con dietro una bandiera con la falce e il martello, sai, so già quello che mi dici tu, ma ti devo dire che un uomo che ha avuto l'onore di guidare un'associazione cattolica è una grande sofferenza vederlo con dietro la falce e il martello”. E lui gli rispose con una lettera, non so, di almeno cinque pagine, in cui gli parlava dell'esperienza francese e di tutte le volte che il Vaticano era rimasto chiuso verso le istanze di dialogo e delle chiusure della Democrazia Cristiana verso le istanze delle Acli e del mondo del lavoro.

Mi ricordo bene al suo compleanno degli 80 anni disse: “dicono sempre Acli di Labor, ma io senza di voi non avrei fatto niente”, quindi le Acli, insomma ve lo spiego a voi che lo sapete meglio di me, per funzionare devono avere una squadra molto forte.

Volevo dire due parole sul disinteresse per il denaro che ci ha abbastanza trasferito a tutti, come si vede dalle nostre condizioni economiche. Veramente papà era disinteressato per il denaro, era nato molto ricco a Pola. Il nonno era uno dei due o dei tre che possedevano l'automobile, con l’autista, ovviamente. Il nonno paterno era direttore della banca commerciale di Trieste e nonni materni erano commercianti di caffè, ancora più ricchi degli altri, quindi. Però forse anche per questo era stato sempre molto disinteressato. Fu stato molto condizionato da un viaggio che aveva fatto. Lui perse la mamma a 16 anni e suo padre gli regalò un viaggio in America Latina in nave, quando aveva 18 anni, anche per farlo distrarre. Era nel 1936, quindi l'opportunità di viaggiare in America Latina non era per tutti. E lui fu estremamente colpito dalla povertà che aveva visto. Cose che noi, se non avessimo Internet, ma anche senza la televisione, non conosceremmo. Una volta tornato ha lasciato la facoltà di medicina dove aveva fatto il primo anno e si è iscritto a filosofia. Dopodiché, aveva detto sempre “la mia vocazione è l'Apostolato sociale”.

Ogni tanto penso al detto “fai un lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno”. Ecco, papà mi dava l'impressione di essere uno che non lavorava; sotto l'ombrellone, sulla spiaggia leggeva dei libri che a noi apparivano noiosissimi. Dicevo “ma perché non leggi una cosa più leggera?”. “Ma questo è il mio divertimento”, no, “questa è la mia passione”. Aveva una passione per le persone, per gli esseri umani in assoluto, che alle volte sconfinava un po’. Ad esempio, al ristorante amava farsi gli affari del cameriere, sostanzialmente arrivava quasi a chiedergli quanto guadagnava, se era contento, se era sposato, figli, eccetera. Mia madre gli suggeriva di lasciar perdere, ma lui non ci sentiva e spesso aiutava delle persone gratuitamente. Ogni tanto io faccio qualche domanda al cameriere, molto meno di come faceva mio padre e i miei familiari mi stroncano immediatamente.

C'è un aneddoto che mi piace ricordare. Da bambini andavamo a scuola in un quartiere di persone benestanti e a un certo punto arrivò in Italia la televisione a colori. Noi eravamo gli unici senza televisione a colori, perché a papà, a mamma non gliene importava niente. E un giorno finalmente citofonano e che cos'è? Due operai portano una televisione a colori. Una festa per tutti noi che rimaniamo il pomeriggio a vedere questa televisione a colori. Torna papà e mia madre gli dice (papà aveva un po’ la mania delle sorprese) “vabbè, ma me lo potevi dire che arrivava la televisione” e papà fa “quale televisione?” Insomma, una favola: si scopre che una persona, diciamo non benestante, una persona modesta, gli aveva detto che il figlio si era laureato e il suo sogno era che lavorasse in banca e quindi si era appellato a papà che aveva chiamato un suo amico, Presidente di una banca. Il ragazzo aveva vinto il concorso e il padre aveva ritenuto di mandarci una televisione a colori come ringraziamento. La cosa che mi rimase molto impressa è come lo tratto male papà al telefono. Cioè, io pensavo: ma come ti manda un regalo, tu lo tratti male? Oltre a farli tornare a riprendere la televisione, purtroppo. Poi con gli anni, ho capito che si era sentito offeso dal fatto che qualcuno avesse potuto pensare che lui aveva fatto un piacere per averne in cambio un beneficio. E quindi noi rimanemmo un altro po’ di tempo con la televisione in bianco e nero che sostituimmo alla prima mostra di mia mamma col primo quadro che vendette.

Ci tenevo a dire una cosa, io poi un giorno sono diventato cronista parlamentare e sono arrivato in Parlamento. Sono arrivato in Parlamento come giornalista. Ed era verso la fine degli anni ‘90. Ripeto, io non ho vissuto la storia aclista di papà per motivi di età. E rimasi estremamente colpito perché in Parlamento ogni volta che andavo non so, che parlavo con il Presidente della commissione lavoro ero un po’ in soggezione. E poi lui chiedeva “sì, il suo nome è Labor, ma Labor parente?”  E andava in soggezione lui, cioè, avvertivo un grande rispetto. Immeritato da parte mia, ma un grande rispetto ‘ereditato’. Dopodiché dicevano: Ah, ma mio fratello era aclista, io ero aclista, ….

 L'ho scoperto dopo che gli aclisti stanno un po’ dappertutto.

 Questo grande rispetto che ho sempre avvertito che era appunto un rispetto per le Acli, per la storia di papà e di quegli uomini che fecero le Acli di allora.

Finisco qui perché, ovviamente potrei parlare, come tutti dei propri genitori, per molto tempo ancora. Dico solo che, quando papà parlava a un convegno gli chiedevo “com'è andata?” E lui rispondeva “vi ho fatto fare bella figura”. Speriamo oggi di avergli fatto fare bella figura anche noi.

I ricordi familiari di Livio Labor https://pop.acli.it/images/LABOR/foto_Willy_2.jpg Redazione POP.ACLI