Il Censis ha presentato il 56° rapporto sulla situazione sociale del paese...

Oggi sembra essere la malinconia, il sentimento del nichilismo dei nostri tempi, a definire il carattere degli italiani, i quali vivono intrappolati in uno stato di latenza, bloccati come sono tra l’incertezza delle gravi crisi dell’ultimo triennio e l’incapacità di ricominciare a guardare al futuro e rimettersi in moto. E’ questo in estrema sintesi il quadro che ci restituisce il Censis con il suo cinquantaseiesimo rapporto sulla situazione sociale del Paese presentato venerdì 2 dicembre a Roma.

Come ha detto il direttore generale Massimiliano Valerii durante la presentazione alle vulnerabilità sociali ed economiche strutturali del nostro Paese oggi si sono aggiunti gli effetti deleteri delle crisi dell’ultimo triennio. E’ soprattutto l’inflazione a preoccupare poiché dalle rilevazioni emerge che oggi la quasi totalità degli italiani (il 93%) è convinto che l’impennata dei prezzi durerà a lungo anche se la corsa del tasso di inflazione si fermerà. Il 69% teme che il proprio tenore di vita è destinato ad abbassarsi e questa percentuale sale al 79% tra chi già detiene bassi redditi mentre il 64% sta già intaccando i risparmi per fronteggiare l’aumento dei prezzi.

Sempre secondo il direttore del Censis la generalizzata paura e incertezza ci pongono in una fase di post-populismo, nel senso che la rinnovata domanda di prospettive di benessere e le legittime istanze di equità sociale che emergono non sono più semplicisticamente liquidabili come populiste, ovvero come aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico.

Ed effettivamente, se si fa attenzione, tutte le élite politiche stanno adottando misure protettive che vanno al di là delle culture politiche di appartenenza. Già da tempo i governi occidentali stanno alzando barriere in forme diverse e hanno varato misure di protezione contro gli effetti negativi della globalizzazione.

Un’altra conseguenza sembra essere quella che Valerii ha definito la «rilevante “ritrazione” silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica», come mostra il fatto che alle ultime elezioni il primo partito è stato di gran lunga quello dei non votanti: quasi 18 milioni, pari al 39% degli aventi diritto; tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati: più 103%.

Questo significa che per ampie porzioni del ceto popolare e del ceto medio non funziona più il tradizionale intreccio tra lavoro, acquisizione del benessere economico e democrazia e questo è un aspetto molto pericoloso.

L’Italia post-populista è quella che fa i conti con l’ingresso in una nuova età dei rischi in cui i più cercano una protezione contro i pericoli correnti.

Allo stato di insicurezza fa da riflesso una mappa di fragilità sociali perduranti. Innanzitutto la povertà assoluta: 5,6 milioni, 1 milione in più rispetto al 2019, il 44% dei quali vive al Sud. Siamo in una Pese in cui la percentuale di laureati è ancora inferiore alla media europea con 21 punti percentuali di differenza tra il Mezzogiorno e la media europea.

Se poi guardiamo in prospettiva, tenendo conto degli scenari demografici rischiamo di avere una scuola e una università senza studenti. Tra dieci anni la popolazione dai 3 ai 18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni; tra vent’anni potrebbe ridursi a 6,8 milioni. Sempre tra vent’anni avremo una popolazione di 19-24 anni di 760mila persone in meno il che significa che se anche avessimo una propensione agli studi come quella attuale avremmo un calo di iscritti all’università di 390 mila unità. Questi sono aspetti da non sottovalutare.

Analogamente rischiamo di avere una sanità senza medici e senza infermieri se pensiamo all’alta età media del personale sanitario e se si stima che nel prossimo quinquennio saranno oltre 29mila i medici e 21 mila il personale infermieristico che lasceranno il sistema sanitario nazionale.

In questa Italia post-populista e malinconica che il Censis descrive, le autentiche legittime rivendicazioni di equità e benessere rappresenterebbero non aspettative irrealistiche ma l’inaggirabile base sociale dell’agenda collettiva del Paese e questa è una presa di coscienza che dobbiamo fare quantomeno per scongiurare il rischio di vedere nei prossimi anni ingrossarsi ulteriormente il numero dei cittadini perduti della Repubblica

Nello stato di latenza in cui si trova l’Italia, secondo Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, ci sono due elementi di cui tener conto, il primo è che se dura troppo crescono i rischi. Ma dentro la latenza c’è anche un altro elemento che va sottolineato: il mettersi di lato per ricaricare le batterie in attesa della ripartenza. Non è detto che ci siano i segnali per farlo e anzi probabilmente se ne vedono molto pochi, però ci sono alcuni elementi positivi: l’export va bene e vanno bene anche il turismo e il risparmio mentre molte imprese stanno reagendo bene alla crisi internazionale. Nella latenza non c’è la condanna al declino e non c’è la certezza del nuovo sviluppo ma ci sono le condizioni per potersi muovere e trasformarla in una condizione di ripresa e di costruzione; non soltanto di resilienza ma anche di crescita significativa delle nostre condizioni economiche,

Insomma l’attuale condizione sociale richiama, per il Censis, la responsabilità in primo luogo della politica ma anche della classe dirigente nel suo complesso, che deve trovare la consapevolezza della domanda che la società esprime e che occorre dare delle risposte, uscendo dalla dimensione dell’emergenza

Fotografia di una Italia malinconica e latente https://pop.acli.it/images/censis_cover.jpeg Redazione POP.ACLI