Nel mondo ci sono più italiani che in Italia. Una realtà da valorizzare e di cui occuparsi...

In questi due anni in cui ho avuto l’opportunità di visitare sedi di Patronato ACLI e di ACLI in tutta Italia e in tutto il mondo, spesso ho cambiato le mie idee e punti di vista, confrontandomi con la realtà. In fondo, è questa la ragione per cui ritengo necessario continuare a incontrare realtà differenti, territori diversi: assumere sempre punti di vista diversi da cui guardare la nostra associazione e i servizi che offriamo.

Si parla spesso di cinque Italie, le famose macroaree in cui è diviso il nostro Paese. Ma personalmente ritengo invece più interessante proporre una lettura differente.

C’è un Italia che è quella classica, che tutti conosciamo, costituita da chi vive qui da sempre e ha qui le radici. Ma a fianco di essa c’è un’Italia fatta di persone, non solo giovani, ormai, italiani di seconda, terza, quarta generazione, persone che hanno vissuto e respirato l’aria del nostro Paese fin dalla nascita o poco dopo e che però spesso non ne vengono considerati parte. In realtà sono i cittadini e le cittadine con la maggior carica di innovazione, con un forte senso di appartenenza al territorio e con tanta voglia di emergere.

Vi sono poi altre due Italie, forse ancora più ignorate o comunque misconosciute. Le Italie che vivono all’estero. Probabilmente parliamo di un numero di connazionali superiore a quello che sta in Patria, se consideriamo il fatto che nei soli Brasile, Argentina e Uruguay si stimano più di 45 milioni di potenziali concittadini.

Girando per il mondo, incontrando le nostre operatrici, operatori e volontari, ho potuto conoscere ed apprezzare queste comunità che dove si sono insediate hanno contribuito allo sviluppo del Paese di adozione, pur mantenendo forte il legame con la cultura di provenienza, che tuttora è amata, cercata, orgogliosamente difesa. Ricordo l’orgoglio delle nostre ACLI brasiliane quando mi hanno raccontato dell’annuale festa di Natale per la comunità italiana a San Paolo, la tradizione del pranzo del martedì proprio sopra i nostri uffici del Patronato ACLI a Londra, il gruppo ACLI Bocce di Five Dock a Sydney. E segnalo la voglia di riscoperta dell’essere italiani cui stiamo assistendo in Sud America, dove si aspettano anche dodici anni per vedere riconosciuta una cittadinanza, ma anche in Nord America o Australia dove questo processo burocratico viene affrontato esclusivamente per motivi affettivi.

Ma accanto a queste comunità storiche, spesso negli stessi Paesi, stiamo assistendo all’insediarsi di una nuova, massiccia emigrazione italiana. “Newcomers” li chiamano in Canada. Sono principalmente persone di meno di 40 anni che, per vedersi riconoscere salari dignitosi, possibilità di carriera e di costruzione di una famiglia in modo dignitoso, decidono di lasciare il nostro Paese, forse non per stare definitivamente in un altro, come era stato per le precedenti generazioni di migranti, ma che difficilmente faranno ritorno in Italia.

Una, ormai due generazioni di italiane e italiani formati, istruiti, motivati, che conservano un buon ricordo dei legami familiari e sociali, ma riconoscono che nel nostro Paese l’ascensore sociale bloccato non riconoscerà mai loro possibilità di vita dignitosa, dove un livello di tassazione tra i più alti al mondo, alimenta una burocrazia e servizi pubblici inadeguati.

Complessivamente le due Italie fuori dall’Italia, oltre a rappresentare in termini assoluti un numero di persone maggiore di quelle oggi presenti sul territorio nazionale, inspiegabilmente sono sostanzialmente ignorate. La concessione del voto agli italiani all’estero risalente a qualche anno fa, ha avuto il paradossale effetto di indebolire gli organi di rappresentanza (i.e. i Comites di ciascun Consolato) territoriale, anziché rafforzare il punto di vista degli italiani nel mondo nella politica italiana. La completa noncuranza delle difficoltà a volte insuperabili degli italiani o italodiscendenti all’estero per ottenere lo Spid, ad esempio, non hanno minimamente incontrato l’attenzione della politica e della burocrazia italiana, che rischia ora di tagliare fuori da diritti e servizi milioni di persone.

Cinque Italie dicevamo. E la quinta qual è? Un altro dato che mi ha colpito girando per il mondo è la netta sensazione che vi sia una grande richiesta di cultura italiana, non solo tra chi ha origini nel nostro Paese. La lingua italiana è richiestissima, come dimostra il fatto che 600 persone frequentano i corsi di italiano delle ACLI di Montevideo, in Uruguay, ma anche l’accorata richiesta da parte di una funzionaria del governo marocchino di organizzare corsi di italiano a Casablanca, dove la lista di attesa per accedere ai corsi dell’Istituto Dante Alighieri supera le 300 persone.

Qualche anno fa Piero Bassetti spiegò così il concetto di “italicità”: «E’ diversa da una semplice identità italiana; è “glocale”, ubiqua, pervasiva, globale e locale al medesimo tempo». La quinta Italia è quella che forse può includere tutte e quattro le Italie sopra descritte, ricomporle in una con l’aiuto e la partecipazione di donne e uomini di ogni parte del Pianeta. Un’Italia fatta non di sangue, ma di cultura, di socialità, di accoglienza, di Bene Comune. Un’Italia che a mio avviso noi, come ACLI e Patronato ACLI nel mondo stiamo già costruendo. Può essere questo uno dei nostri “grandi” compiti?

Le cinque Italie, ma non quelle che ti aspetti https://pop.acli.it/images/5Italie_ricotti.jpg Redazione POP.ACLI