Attualità dell’insegnamento della Pacem in Terris...

«La vera pace si può costruire solo nella vicendevole fiducia, perché non c’è pace senza perdono», così ha ammonito il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Maria Zuppi, nel suo intervento al convegno per i 60 anni della Pacem in Terris, tenutosi nel pomeriggio del 16 novembre nella sala della Protomoteca del Campidoglio, a Roma. E proprio il desiderio di celebrare l’anniversario ma soprattutto di rendere attuale l’enciclica di Giovanni XXIII, togliendola «un po’ da qualche polveroso armadio dove l’abbiamo riposta», ha mosso il discorso di Zuppi in un denso appuntamento organizzato dall’Ufficio della Cei per i problemi sociali e il lavoro e la Caritas italiana, assieme ad Acli, Azione cattolica, Agesci, Cnal, Movimento Focolari, Pax Christi, Frati francescani di Assisi e Comunità di Sant’Egidio.

Non solo la Pacem in Terris, «che abbiamo usato troppo poco e che invece contiene indicazioni straordinarie, visto che ad esempio parlava già dei diritti dell’uomo», ma anche la figura stessa di Giovanni XXIII è stata tratteggiata dal cardinale: «Papa Roncalli visse le due guerre, la prima come cappellano militare, raccogliendo tutto il dolore delle atrocità viste con i suoi occhi, la seconda con piena consapevolezza del dramma. In qualche modo ha scritto anche il testamento di quella generazione che ha perso la vita per la nostra libertà. Ma dopo sessant’anni ci ritroviamo ancora qui che non abbiamo imparato niente, quando invece servirebbero campagne e politiche per tradurre quelle indicazioni. Senza la pace non c’è futuro, senza la pace si rinnova solo l’odio, come stiamo vedendo in questi drammatici giorni. Oggi c’è una cultura arrendevole verso la guerra e questo è molto preoccupante. Usiamo la guerra come una sorta di metodo per risolvere i conflitti, pensiamo ci sia anche una guerra giusta».

Ecco dunque la ragione che ci ha spinto a riprendere la Pacem in Terris, datata 11 aprile 1963, la cui lezione ha avuto ulteriori sviluppi con altri pontefici, fino a papa Francesco. Il pensiero va all’intervento di Paolo VI alle Nazioni Unite a New York, il 4 ottobre 1965, e a quel suo grido accorato «Mai più la guerra», ideale continuazione proprio della Pacem in Terris. Ma le preoccupazioni, ha stigmatizzato l’arcivescovo di Bologna, arrivano anche «dal fatto che oggi assistiamo quasi a una sorta di cultura del riarmo, con tanto di disfattisti 2.0 e 3.0. Dobbiamo invece continuare in quella cultura del disarmo che era dentro l’anima della Pacem in Terris e nei documenti successivi».

La pace è un percorso, «non è solo un tempo tra una guerra e l’altra in cui magari pensiamo agli affari nostri. Per dire pace — ha osservato il porporato — abbiamo bisogno dell’alfabeto della vita, di un intero vocabolario, perché il cristiano è un uomo di pace e non in pace. Occorre un di più di umanità, non pensare alle guerre “giuste”, perché l’unica ragione è quella delle vittime. Non dimentichiamo che ogni nuova e ulteriore guerra coinvolge sempre più degli innocenti e lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato», ha concluso il presidente della Cei, non senza aver prima ricordato alcune figure storiche del desiderio di pace, come monsignor Luigi Bettazzi, morto alcuni mesi fa e che praticamente sfilò e fu punto di riferimento per tutte le marce della pace succedutesi per oltre mezzo secolo.

Preziose inoltre le testimonianze rese nel corso del convegno: voci e aneliti di pace da tutto il mondo, compresa un’assenza che però si è trasformata in una straordinaria presenza, ovvero quella di Daoud Nassar, fondatore di “Tent of Nation” vicino a Betlemme, che non se l’è sentita di partecipare, neppure online, temendo ripercussioni per sé e la sua famiglia. Il convegno, come ha ricordato don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio della Cei per i problemi sociali e il lavoro, ha rappresentato peraltro la prima tappa di un cammino con al centro la 56ª Marcia nazionale per la pace in programma a Gorizia il 31 dicembre prossimo. In questo cammino stimoliamo e promuoviamo, in rete con le altre realtà associative cristiane, momenti di preghiera e di spiritualità per la pace, ma anche in particolare nel mese di gennaio 2024, occasioni formative e informative per aiutarci a far crescere una cultura della pace, oltre che sensibilizzare e formare coscienze critiche che sappiano mantenere la libertà di testimoniare che la pace è possibile e che la fraternità può essere il paradigma politico efficace, nella consapevolezza e nell’esperienza che non c’è pace senza perdono.

 

 N. 11-12 novembre-dicembre 2023

Non c’è pace senza perdono https://pop.acli.it/images/incontro_zuppi-compressed.jpg Redazione POP.ACLI