L’11 luglio scorso è stato presentato alla Camera il XXI Rapporto annuale dell’INPS. Ne diamo conto attraverso alcune brevi note, prese a stralcio dalla relazione del presidente Pasquale Tridico...

La crisi ha lasciato strappi vistosi nella distribuzione dei redditi lavorativi. Se si considerano i valori soglia del primo e dell’ultimo decile nella distribuzione delle retribuzioni dei dipendenti a tempo pieno e pienamente occupati, per operai e impiegati (escludendo dirigenti, quadri e apprendisti), emerge che il 10% dei dipendenti a tempo pieno di tale insieme guadagna meno di 1.495 euro, il 50% meno di 2.058 euro e solo il 10% ha livelli retributivi superiori a 3.399 euro lordi. La retribuzione media delle donne nel 2021 risulta pari a 20.415 euro, sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti e inferiore del 25% rispetto alla corrispondente media maschile.

La distribuzione dei redditi all’interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza. Per la precisione il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro/mese

La diseguaglianza nei redditi, oltre che essere aumentata, è pervasiva e attraversa tutte le dimensioni di genere, di età, di cittadinanza, di territorio. Essa origina anche dal moltiplicarsi delle forme contrattuali, oggi pari a ben 1.011: troppe e spesso non rappresentative. Sono solo 27 i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro che coprono ciascuno oltre 100.000 dipendenti e concentrano il 78% dei dipendenti privati (10,2 milioni di lavoratori); quelli che interessano più di 10.000 dipendenti ciascuno sono 95 e ad essi fa riferimento il 96% dei dipendenti delle imprese private extra-agricole (12,5 milioni di lavoratori).

In Italia il fenomeno della povertà lavorativa è più marcato che negli altri Stati europei. Secondo Eurostat, nel 2019, l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2%. La percentuale di lavoratori sotto la soglia di 9 euro lordi l’ora è 28%, ovvero oltre 4,3 milioni, e quasi un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro/mese, considerando anche i part-time.

A ciò si aggiunge il problema della instabilità lavorativa, eccessiva flessibilità che diventa spesso precarietà o insufficienza di ore lavorate per mese. La percentuale di part-time è al 46% tra le donne, il dato più alto nella UE, contro il 18% tra gli uomini, e una parte prevalente di questo part-time è considerato involontario...

Da un’analisi statistica che tiene conto delle caratteristiche degli individui e dei datori di lavoro, emerge che, dopo le forme contrattuali, il fattore che maggiormente spiega i differenziali nel rischio di bassa retribuzione è il settore produttivo.

Guardando alle retribuzioni annuali, ad esempio, sono “lavorativamente poveri” il 64,5% degli addetti negli alberghi e ristoranti

Un’ulteriore ragione che induce a preoccuparsi del fenomeno della povertà lavorativa di oggi è il fatto che chi è povero lavorativamente oggi sarà un povero pensionisticamente domani. Al 31 dicembre 2021, i pensionati in Italia sono circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni di uomini e 8,3 milioni di donne, per circa 22 milioni di assegni pensionistici. L’importo lordo delle pensioni complessivamente erogate nel 2021 è di 312 miliardi di euro. Sebbene le donne rappresentino il 52% sul totale dei pensionati, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici.

L’importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è 1.884 euro lordi, del 37% superiore a quello delle donne, pari a 1.374 euro...

Redditi e diseguaglianze: cosa ci dice il Rapporto INPS https://pop.acli.it/images/INPS_XXIRapporto.jpg Redazione POP.ACLI