Il 7 luglio 2022 Banca Etica ha presentato alla Camera dei Deputati la ricerca intitolata “Il Terzo Settore in Italia dopo la pandemia”. Ne riportiamo alcune evidenze...

La fotografia che introduce il rapporto parla di un settore che - attraverso l’operato di circa 360mila organizzazioni con oltre 860 mila dipendenti e 5 milioni di volontari, - ha dimostrato, prima, durante e dopo la pandemia, di essere un pilastro essenziale del welfare e della coesione sociale in Italia, della cittadinanza democratica e della partecipazione. Nonché del lavoro: tra il 2011 e il 2019 il 27,6% della crescita occupazionale in Italia è stata generata dal non profit, che impiega soprattutto giovani e donne (il 72% della forza lavoro).

Diverse per natura giuridica, oggetto sociale e dimensioni, le organizzazioni del Terzo Settore per un 10% sono professionalizzate, applicando modalità operative che mutuano dinamiche d’impresa, mentre il restante 90% si fonda su pratiche di volontariato, piccoli gruppi legati alle realtà locali di provenienza, con una gestione informale e bilanci basati sull’autofinanziamento e limitati contributi pubblici. Motivo per cui la crisi innescata dalla pandemia da Covid-19 ha determinato per molti enti un calo della partecipazione e del sostegno economico valutato oltre il 2% dal Rapporto BES dell’ISTAT, mentre i dati raccolti da Banca Etica hanno evidenziato che, durante la pandemia, la raccolta fondi per le organizzazioni intervistate ha registrato un calo anche del 7%.

Guardando gli ultimi dati Istat disponibili sui bilanci delle organizzazioni del Terzo Settore (2015), e pur considerando le forti differenze tra enti, la prima voce per le entrate è rappresentata dai contributi pubblici (28,6%); seguono quelli annui degli aderenti (27,3%) e i proventi dalla vendita di beni e servizi (22,9%). In misura minore troviamo proventi da gestione finanziaria (8%). Netta è la sperequazione tra distribuzione delle organizzazioni e volumi delle entrate nelle diverse aree del Paese: le regioni del Nord-Ovest ospitano il 27% delle organizzazioni, le quali beneficiano del 35% delle entrate complessive, al Centro queste percentuali diventano 22% e 33,6%, al Sud si passa al 17% di enti che gode appena del 7% delle entrate.

Poche risorse per alcuni, quindi, in un comparto noto per la bassa patrimonializzazione media, rendono perciò l’accesso al credito un fattore determinante di sviluppo e sopravvivenza. E per questo motivo il rapporto sottolinea i dati di Banca d’Italia secondo cui a fine 2019 gli enti di Terzo Settore affidati (cioè che avevano ricevuto un credito da una banca) erano solo 17.452, poco più del 2% delle 862 mila istituzioni non profit censite in quell’anno dall’Istat. A fine 2021 il numero di istituzioni affidate è salito di poco, fino a 18.384 unità, conservando inoltre gli aspetti di distribuzione diseguale già osservati: il Mezzogiorno ospita infatti meno del 15% delle realtà che usufruiscono di un credito in banca.

Rispetto ai contributi del 5 per mille, il rapporto rileva che le erogazioni complessive relative al 5 per mille per il 2021 saranno pari a 506,9 milioni di euro (-2,2% sul 2020) indirizzati da 13,9 milioni di contribuenti su 72.550 organizzazioni non profit (+5,2% sul 2020). Ma due sono i fenomeni osservati, la polarizzazione e la frammentazione: 5 regioni (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto) assorbono il 74% delle risorse disponibili tramite il 5 per mille, e le prime 100 organizzazioni (lo 0,15% del totale) capitalizza quasi il 47% della raccolta dei fondi (oltre il 27% va alle sole prime 10). Mentre il 92% delle organizzazioni raccoglie meno di 10mila euro ciascuna.

La crisi pandemica ha rappresentato una grande sfida per il non profit, alle prese con improvvise chiusure e sospensione di servizi e attività con evidenti contraccolpi economici e occupazionali. Proprio in questa fase sono emerse importanti risorse, spesso “immateriali”, di questi enti, spesso capaci di riorganizzare collaborazioni e attività, adeguare in corsa i processi, trovare nuove forme di lavoro e partecipazione volontaria.

Il Terzo Settore ha dimostrato dunque un’importante capacità di resilienza, sviluppando inoltre non solo una sostanziale fiducia sul futuro delle organizzazioni di appartenenza ma anche nuovi “coatti” apprendimenti: la pandemia ha fatto praticare alle organizzazioni servizi e modalità di gestione all’insegna dell’innovazione sociale, dell’“invenzione” di nuove modalità (digitali, e non solo). Qualche incognita invece grava sullo sviluppo del Terzo Settore più strutturato e professionalizzato: le preoccupazioni riguardano la crescita della burocratizzazione, il rischio di appiattimento, la perdita di senso generale, ecc.

Anche il sistema finanziario nel suo insieme presenta margini di miglioramento nella relazione con gli enti del Terzo Settore e occorre evidentemente diffondere e rendere accessibili tutti gli strumenti in grado di agevolare l’accesso al credito ma anche le diverse forme di fundraising.

Banca Etica ha dimostrato negli anni di essere un partner affidabile e attento alle esigenze di questo mondo, anche affrontando le sperequazioni nell’accesso al credito tra aree del Paese: il 19,7% degli impieghi è andato a clienti residenti in quelle 6 regioni con oltre un terzo della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale, a fronte del 13,1% del sistema bancario nel suo complesso (Report di Impatto Banca Etica, 2021).

Banca Etica: rapporto sul Terzo Settore dopo la pandemia https://pop.acli.it/images/BE_rapportoTS_lug2022.jpg Redazione POP.ACLI