Un libro non per chi la società civile la studia, ma per chi la società civile la fa...

The Hinge (la cerniera) è la sintesi del lungo percorso intellettuale di Gary Alan Fine, uno dei maggiori etnografi sociali viventi. Durante la sua carriera Fine ha pubblicato decine di libri sui fenomeni più disparati: i cercatori di funghi, gli operatori di un centro per le previsioni metereologiche, gli artisti autodidatti, il gioco degli scacchi. In questa produzione scientifica quantomeno eclettica, c’è un filo rosso molto evidente. Per Fine in questi ambienti sociali così diversi tra loro, improntati da meccanismi di interazione e culture specifiche, si dipana e manifesta il potere delle comunità locali e delle culture di gruppo.

I suoi studi di psicologia sociale lo hanno da subito spinto a concentrare l’interesse per il livello delle interazioni nei piccoli gruppi; in altre parole, tra l’individuo e il sistema sociale ci sono i gruppi, anzi senza la mediazione dei gruppi sociali l’individuo non ha quasi senso. La convinzione che il gruppo sia la dimensione fondamentale dell’analisi sociale è talmente radicale che a un certo punto l’autore piazza un’affermazione a dir poco forte: “La cittadinanza non riguarda mai l'individuo, ma gli individui in contatto” (p. 148).

Uno degli attributi fondamentali della persona contemporanea viene quindi declinato in un’ottica relazionale, rifiutando di considerarne la dimensione individuale al di fuori della rete di significati, obbligazioni reciproche, aspettative e impegni. Questa rivendicazione non è generico richiamo alla socialità degli esseri umani, ma viene precisato a inizio volume, nel capitolo “la cerniera civica”, dove Fine afferma che: “non viviamo con milioni di persone, ma solo con alcune, e queste poche persone formano il nostro modo di vedere le cose” (p. 9). Siamo dunque i gruppi in cui viviamo.

Con questa premessa forte, The Hinge sviluppa una teoria della società civile come rete di piccoli gruppi capace di connettere come una cerniera gli interessi organizzati degli individui riuniti in piccoli gruppi (tiny publics) con la struttura sociale e, in generale, le diverse sfere macro-sociali (politica, economia su tutte). Si tratta di una proposta ambiziosa e se si vuole massimalista. Tuttavia, non è questo il luogo per discuterne la presa teorica, quanto invece per evidenziarne l’utilità dal punto di vista pratico per chiunque voglia cimentarsi con l’analisi della società civile.

A mio parere, The Hinge è un libro di grande utilità perché scompone concetti che da anni usiamo in maniera troppo estensiva e finanche confusa. L’azione civica è uno di questi. Un po’ come nel volume di Sebastiano Citroni recensito da Cecilia Ficcadenti in questo numero, The Hinge offre al lettore (non necessariamente accademico) una cassetta degli attrezzi per smontare e comprendere il funzionamento delle diverse forme d’azione civica.

Per l’autore, le componenti essenziali della “cerniera civica” sono sette, ognuna di esse viene discussa in un capitolo a sé, nel quale dopo una rapida concettualizzazione vengono proposti tre studi di caso tratti dalle discipline sociologiche e politologiche. La struttura del volume è quindi molto semplice, quasi una trattazione manualistica, sembra che il lettore ideale di Fine non sia tanto lo studioso quanto il practitioner, non chi la società civile la studia, ma chi la società civile la fa.

Passando rapidamente in rassegna le sette dimensioni che strutturano la cerniera civica, alcune sono scontate, quasi ovvie.

La società civile si regge innanzitutto sul coordinamento tra gli attori sociali, ossia sulla collaborazione e sull’impegno reciproco e sulle relazioni non considerate in senso astratto, ma attraverso la lente dell’amicizia.

Le altre due dimensioni di base sono il mettersi assieme (association), ovvero la scelta di dare un minimo di struttura alla cooperazione informale, e il luogo, cioè uno spazio terzo rispetto alla casa e al lavoro. Sin qui nulla di nuovo si direbbe.

La quinta e la sesta dimensione introducono invece due questioni che almeno nel dibattito italiano sulla società civile mi sembrano essere state rimosse, quasi fossero un tabù. Il capitolo sul conflitto, forse il migliore del volume, si apre con un richiamo molto diretto: Scratching the Consensus’s Veneer, può essere tradotto con “grattando via la patina di consenso”. La società civile tende a presentarsi come uno spazio di cooperazione dove il conflitto non esiste, vanno tutti d’accordo e si rema dalla stessa parte. Chiunque abbia un minimo di esperienza associativa sa benissimo che questa immagine conciliata è quanto di più distante dalla realtà. L’invito di Fine è a prendere il conflitto come un antidoto alla stasi, un’occasione per andare al di là delle proprie convinzioni.

I due capitoli finali sviluppano due dimensioni complementari: il controllo e l’estensione. I gruppi della società civile quando estendono la propria sfera d’azione soprattutto a distanza (anche attraverso i mezzi di comunicazione) si trovano a dover fare i conti con esigenze di controllo dell’azione dei membri distanti. Chiunque operi in una grande organizzazione nazionale non avrà difficoltà a rispecchiarsi in questa ambivalenza.

In conclusione, The Hinge è un libro che dovrebbe essere letto e discusso in tutti le sedi associative, piccole o grandi che siano, per questo mi auguro che qualche editore di buona volontà si prenda il disturbo di offrirlo in traduzione al pubblico italiano.

Gary Alan Fine, The Hinge. Civil Society, Group Cultures, and the Power of Local Communities, The University of Chicago Press, Chicago 2021.

Il gruppo come cerniera tra l’individuo e la società (Associazione) https://pop.acli.it/images/Fine_cover.jpg Redazione POP.ACLI