Il fenomeno degli abbandoni di massa che hanno seguito la pandemia...

In questo recente volume Francesca Coin affronta il tema delle Grandi Dimissioni, ovvero il fenomeno degli abbandoni di massa che hanno seguito la pandemia ad ogni latitudine. Scatenato dall’emergenza sanitaria, che ha innescato nelle persone un processo di riflessione sulla propria vita, il nuovo rifiuto del lavoro rappresenta, secondo l’autrice, il sintomo di una rottura epocale: la fine di una fase in cui regnava la speranza che il lavoro consentisse di realizzare i sogni di emancipazione, mobilità sociale e riconoscimento, e salvasse il mondo dalla fame e dalla povertà.

Con linguaggio accessibile, che nulla toglie alla puntualità e alla ricchezza dei riferimenti, l’autrice introduce chi legge alla conoscenza del fenomeno attraverso estratti di interviste realizzate con i/le protagonisti/e di questa secessione, raccontando spaccati di vita in cui in tanti/e possono riconoscersi e descrivendo nitidamente le condizioni di lavoro comuni a molti/e. Fa anche giustizia di alcune questioni dibattute nei mesi recenti, che sono quanto meno mal poste, se non completamente estranee al cuore del problema. Ad esempio, il reddito di cittadinanza, secondo Coin, non c’entra niente con l’aumento del turnover volontario di questi anni, perché il ruolo fondamentale lo gioca piuttosto una «cultura del lavoro tossica, fatta di salari bassi e turni massacranti, di mobbing e di bullismo, di scarsa sicurezza del e sul lavoro, di vessazioni e di cultura antisindacale». Le Grandi Dimissioni sono, a suo avviso, un fenomeno strutturale, di cui finora si è visto solo l’avvio, perché a lasciare il posto sono proprio coloro che si trovano male e hanno bassi salari: i più ricattabili, insomma.

Dalla sanità alla grande distribuzione, passando per la ristorazione, l’autrice fa un ritratto spietato ma realistico di un sistema che per tagliare i costi li scarica sostanzialmente sul personale. Dagli Stati Uniti alla Cina, passando per il nostro Paese, sono messe in luce le specifiche criticità di ogni contesto. Ovunque la pandemia ha funzionato come detonatore di situazioni al limite e fortemente compromesse.

Le Grandi Dimissioni, sostiene Coin, svelano il grande inganno che la cultura del lavoro contemporanea, ha esercitato nei confronti di lavoratori e lavoratrici. Il sogno di fare ciò che piace, di realizzare il proprio progetto di libertà è stato strumentalizzato dalle organizzazioni lavorative, fino a che non è diventato evidente che la dedizione richiesta era unilaterale: sono solo i lavoratori a dover dimostrare devozione al lavoro, completa disponibilità e rinuncia a chiedere quanto dovuto, non solo in termini di retribuzione. Mentre le aziende sono infedeli, dando luogo, nel lungo periodo, al graduale smantellamento delle forme di tutela introdotte in precedenza. La passione per il lavoro si è rivelata una trappola e, di fatto, le persone sono state chiamate col proprio sacrificio personale a sopperire alle carenze del sistema o al mero desiderio di profitto, senza reciprocità alcuna e dovendo spesso tradire i propri valori. E, senza più ricompensa economica, professionale e sociale, non sono più disposte a farlo. Le aziende, tuttavia, si aspettano ancora che i lavoratori siano “fedeli” e si stupiscono quando se ne vanno.

Di fronte a questo lavoro degradato nessuno crede più che possa garantire emancipazione e gratificazione. Specialmente tra le donne dimissionarie si apprezza la presa di distanza dalle aspettative sociali, che vorrebbero far loro incarnare il modello di lavoratrici devote, remissive e sottopagate. Con il rifiuto del lavoro segnalano, invece, la necessità di ripensare l’organizzazione della sfera produttiva e di quella riproduttiva, senza dare per scontato che le donne si faranno ancora e sempre carico di entrambe. Il loro sottrarsi al lavoro segnala tutto ciò che nella società servirebbe e non c’è, a partire dai servizi per la famiglia.

Ma il tono del volume è tutt’altro che rassegnato. L’autrice invita a non fare l’errore di sottovalutare «la determinazione della classe precaria e la fame di giustizia» che essa ha. Chi lascia il lavoro oggi cerca un modo per sottrarsi a un sistema che divora, non per cambiare il mondo. Ma secondo Coin questa situazione ha un effetto trasformativo e innesca un processo virtuoso di mutamento sociale, poiché diventa un fenomeno collettivo, teso a rinegoziare il confine tra ciò che è lecito e ciò che non è più accettabile. Una sorta di sciopero generale non ufficiale, in cui lavoratori e lavoratrici disorganizzati si collegano idealmente ad altre proteste più organizzate. Scioperi e dimissioni, sostiene l’autrice, specie in alcuni contesti come quello statunitense, si sono rafforzati a vicenda, garantendo migliori condizioni.

Tuttavia, il libro solleva alcuni interrogativi in chi legge: innanzitutto, se ciò possa accadere senza tradurre questo bisogno di cambiamento in un’autentica istanza collettiva e organizzata, evitando che resti una secessione personale, sebbene diffusa, o una peculiare forma di individualismo. Se davvero abbandoni e sindacato sono due diverse modalità di rivolta della classe precaria, è quantomeno difficile che il mutamento si inneschi senza forme sociali e politiche di solidarietà e di azione, capaci di interpretare ed esprimere le istanze che sottendono il fenomeno, benché, anche queste, profondamente rinnovate. Specialmente quando, ed è il secondo interrogativo, i lavoratori e le lavoratrici dimissionari non trovano, come nota Coin, la solidarietà dei/lle colleghi/e, che vivono le posture assunte da quelli/e come una fastidiosa anomalia, continuando a favorire un sistema che mina il sindacalismo e legittima lo smantellamento dei diritti, lasciando le persone alla contrattazione individuale, cioè in balia del datore di lavoro. Forse, la “vecchia” coscienza di classe avrebbe ancora qualcosa da dire rispetto al restituire a chi lavora il senso dei propri diritti e la dignità del proprio ruolo di prestatore d’opera. Infine, qualche interrogativo solleva anche la convinzione che il lavoro non sia più essenziale a definire le persone: sebbene non possa (né debba) tutto esaurirsi in questo, la sofferenza con cui molti epigoni delle Grandi Dimissioni hanno lasciato il lavoro sembra proprio mostrare il contrario e il dispiacere per qualcosa di umanamente significativo che potrebbe essere e non è: una grande occasione mancata.

Probabilmente solo il tempo sarà in grado di chiarire se questo massivo abbandono individuale accenderà davvero i riflettori sul mondo del lavoro, ponendo all’ordine del giorno la discussione sulle condizioni di lavoro di un «sistema tossico». Sicuramente il merito del volume di Francesca Coin è aver attirato l’attenzione su tali condizioni, contribuendo ad aprire il dibattito.

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Francesca Coin Le Grandi Dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprendersi la vita -  Einaudi 2023

 

logo POP  N. 11-12 novembre-dicembre 2023

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