Tutte queste donne hanno un ruolo cruciale nel viaggio di Ulisse...

Non c’è poema epico che sia più “virile” dell’Odissea, il noto racconto omerico delle gesta di Odisseo (o Ulisse), eroe della guerra di Troia, e della sua impari (ma riuscita) lotta contro le divinità avverse per tornare sull’isola di Itaca. Costui rappresenta la massima espressione della cultura greca antica, in cui l’eroe non solo è forte e maschio, ma è simbolo di ogni evento benefico. Come scrive la studiosa Annabelle Hirsch, «Ercole, Ulisse e gli altri eroi greci non solo erano sempre pronti a proteggere la terra dai pericoli in agguato (compresi quelli indotti dalle donne), ma incarnavano e rendevano omaggio ad una mascolinità che avrebbe portato protezione, fortuna e prosperità».

Eppure, il poema omerico – come ci ricorda Marilù Oliva, nel suo bel libro L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, edito da Solferino – è pieno di figure femminili, le quali, pur tra qualche contraddizione e resistenza, sono fondamentali per favorire il ritorno di Odisseo in patria. Cosa sarebbe accaduto al re di Itaca, campione di astuzia e di prestanza, se le donne che incontra nel suo lungo viaggio (durato ben dieci anni) non lo avessero aiutato a ritrovare la giusta rotta, spesso consigliandolo su come evitare pericoli e insidie? È quanto si chiede l’autrice, non nuova a questo tipo di operazioni, avendo già riletto Eneide e Iliade in chiave femminile. Oliva tenta una risposta, passando in rassegna le numerose figure femminili che popolano il romanzo e raccontano in prima persona riflessioni e sentimenti che accompagnano il loro rapporto con Odisseo. Lo fa con intense pennellate, che mostrano l’attualità di questi personaggi.

C’è Circe, dalla voce melodiosa e i bei ricci, che vive da sola sull’isola di Eea, padrona della sua casa, dove esercita le sue arti magiche. Dea e maga, si sottrae al ruolo di donna accogliente e materna, e usa la sottomissione come un’arma. Seducente e ammaliatrice, trasforma gli uomini in animali per impedire loro di sopraffarla e disprezza i maschi finché non viene sedotta da uno che è abbastanza forte da resisterle ma che, alla fine, riesce a trattenere senza pozioni. Circe soprattutto mostra la continuità tra il potere della femminilità e la gestione di questo potere: ella possiede capacità soprannaturali e rispetto ad Ulisse agisce un’inversione dei consueti equilibri di potere, e poiché vive al di fuori del controllo maschile è considerata un pericolo. Poi c’è Calipso, ninfa nella foresta, che vive ad Ogigia. Avvinta dalle sue stesse reti di seduzione, si innamora di Ulisse, cui propone il dono dell’immortalità. Indispettita dall’ordine ricevuto dagli dèi di lasciare andare l’eroe che trattiene presso di sé da sette lunghi anni, cerca di far valere i diritti di chi si è preso cura, ma poi cede alla consapevolezza che Odisseo non vuole il regno che lei gli ha offerto e lo libera. C’è Nausicaa, la giovane e virtuosa principessa, che, colta da passione per il naufrago raccolto sulla spiaggia, lo com-patisce, raccomandandolo ai genitori che regnano sui Feaci. E c’è Euriclea, la fedele nutrice, che aspetta nel silenzio il ritorno dell’eroe, del quale sarà complice nella vendetta.

Femminili sono pure le figure avverse all’eroe, dalle Sirene incantatrici, alle ancelle che tradiscono il padrone alleandosi con i giovani principi che ne hanno invaso la casa. Femminile è anche la dea che protegge e sprona Odisseo e le altre figure maschili del racconto: Atena.

Sopra a tutte, spicca Penelope, che esce finalmente dall’ombra per assumere il ruolo primario che le spetta. Di lei si racconta spesso la fedeltà, la pazienza, la dedizione; molto meno la sua astuzia e la sua fermezza, che, pari almeno a quelle del consorte, le hanno consentito di regnare su Itaca senza sottomettersi al volere dei Proci, che vorrebbero sposarla per acquisirne il diritto regale. Solo per il fatto che Penelope (r)esiste, conservando integre la casa e la famiglia, ha senso il ritorno di Ulisse.

Penelope sa cosa c’è in gioco e riesce a governare il tempo, ricominciando ogni giorno da capo. Il poema ce la mostra più sapiente del figlio, cui pure deve obbedire per le regole assegnate. Ella rappresenta tutto il mondo di Ulisse, perché è la protettrice della sua identità, ma anche la guardiana del suo stato reale. Assicura la continuità del suo potere e ne conserva il ricordo. Senza la perseveranza di Penelope, Odisseo non sarebbe nemmeno ricordato.

Come ricorda Silvia Romani, storica dell’età antica, al suo ritorno, Ulisse le rivolge un complimento dicendole che lei è stata come un re per la sua terra: ovviamente, il complimento è al maschile ma comunque riconosce il fatto che Penelope ha assunto e gestito un vero e proprio ruolo politico, portando brillantemente a termine il suo impegno. Alla fine della storia, per riprendere il cammino interrotto, i due rifaranno un patto, rifonderanno un’alleanza, simbolo di pari dignità.

Ribaltando la consueta prospettiva, l’autrice mostra che l’Odissea può esser letta come la storia d’amore di molte donne, anziché come la storia del viaggio di un uomo. Il poema omerico celebra le donne narrando ogni declinazione del femminile. Ma si tratta sempre di donne capaci di autodeterminarsi e spesso motore che guida l’azione. L’autrice mette in evidenza aspetti significativi legati a questa nutrita presenza di donne nell’Odissea. Ad esempio, il fatto che tutte le figure femminili del poema fanno i conti con l’attesa e con l’abbandono, con la difficile arte del lasciar andare, così dura da apprendere per gli uomini, anche oggi. Inoltre, esse trasformano, come nota argutamente l’editore, la prospettiva unica del maschile nella polifonia del femminile.

Tutte queste donne hanno un ruolo cruciale nel viaggio di Ulisse: come scrive l’autrice nella quarta di copertina: se le tante donne incontrate non gli avessero teso una mano, Odisseo – forse – sarebbe ancora in viaggio. Vale la pena di rifletterci.

L’Odissea raccontata dalle donne https://pop.acli.it/images/odissea-marilu-oliva.jpg Redazione POP.ACLI