Ricorre il 24 gennaio la Giornata internazionale dell’Educazione...

«Educare è un processo di reciprocità, di trasformazione degli uni e degli altri. Un processo che si basa su una relazione - che è l’essenza stessa della vita - che è rigenerazione di chi educa e di chi è educato o meglio dei generi e delle generazioni che insieme camminano e si confrontano e si arricchiscono umanamente vicendevolmente». Con queste parole il 14 gennaio don Luigi Ciotti ha concluso il laboratorio formativo intergenerazionale voluto dalla FAP e da GA e curato dall’IREF insieme alla Funzione Formazione delle ACLI nazionali.

Sempre nel corso dello stesso intervento il presidente di Libera ha affermato: «di esperienze di relazioni, dialoghi e collaborazioni autentiche ne ho incontrate molte nelle intense occasioni di conoscenza e confronto che ho avuto ed ho in tutta Italia. Ho incontrato belle comunità in cui vi è davvero condivisione e messa in comune dei problemi e delle opportunità, in cui ci si sente consorti, che vuol dire vivere la stessa sorte, sentire che vi è un percorso da fare insieme. Ho visto tante realtà e devo dire che in tanti casi ho visto le ACLI protagoniste attive di questi processi di servizio disinteressato e gratuito e di costruzione del bene comune».

La nostra associazione riesce dunque ad essere concretamente e quotidianamente sul territorio un movimento educativo e sociale come afferma anche l’articolo 3 del nostro Statuto - e  ricevere questo tipo di riconoscimento da uno dei testimoni più credibili del nostro tempo fa sicuramente piacere - per questo credo sia opportuno non solo ricordarlo (ovvero riportarlo al cuore) ma anche provare a prendere spunto dalla ricorrenza della Giornata dell’Educazione del 24 gennaio per tornare a riflettere sul nostro essere associazione di collaborazione, cooperazione, costruzione condivisa, partecipazione attiva, promozione sociale nelle comunità, con le comunità e per le comunità.

Per compiere questo esercizio ritengo interessante provare a riconoscere, “ruminare” e praticare due pedagogie che, a mio modesto avviso, possono essere molto generative in questo tempo per noi come persone e come movimento e per la nostra azione: riscoprire la pedagogia dell’incontro di Martin Buber e la pedagogia degli oppressi di Paulo Freire può permetterci di trovare chiavi di lettura, approcci, metodi e posture capaci di farci provare ad essere - con mitezza, umiltà e semplicità - costruttori di pace nella giustizia.

Paulo Freire scriveva: «finché gli oppressi rimangono ignari delle cause della loro condizione fatalistica, accettano il loro sfruttamento. Non è nella rassegnazione, ma nella ribellione di fronte alle ingiustizie, che ci si afferma come persone e come popolo. Non è nel silenzio che si fanno gli uomini e le donne, ma nella parola, nel lavoro, nell'azione-riflessione. Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: ci si libera insieme. Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini e le donne si educano insieme, con la mediazione del mondo.

L'educazione è sempre una sorta di teoria della conoscenza messa in pratica, è naturalmente politica ed è, di per sé, un'esperienza di bellezza. Non c'è dialogo se non c'è umiltà, né se non c'è una fede forte e incrollabile negli esseri umani.

Quando tutto ciò accade e diventa reale quando i processi di liberazione degli uomini e delle donne vengono messi in atto quotidianamente insieme nel dialogo, nella bellezza nell’impegno civile la pedagogia degli oppressi, cessa di essere degli oppressi e diventa la pedagogia degli uomini nel processo di liberazione permanente».

Martin Buber scriveva: «affinché gli ebrei cerchino una vera pace con gli arabi. Con vera pace abbiamo inteso e intendiamo il fatto che entrambi i popoli debbono amministrare il paese senza che l'uno possa imporre all'altro il proprio volere. Questo ci sembra, in considerazione delle abitudini internazionali della nostra epoca, molto difficile ma non impossibile. Eravamo e siamo nuove strade di comprensione e accordo tra i popoli.
[…] Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato, se, nell'ambito della creazione con la quale viviamo, noi aiutiamo la santa essenza spirituale a giungere a compimento, allora prepariamo a Dio una dimora nel nostro luogo, allora lasciamo entrare Dio».

Quanto sono utili queste considerazioni ed indicazioni per la nostra azione sociale oggi? Quanto possono illuminare il cammino dei nostri circoli, dei nostri livelli provinciali, regionali e nazionali, dei nostri servizi, delle nostre associazioni tematiche e professionali?

Lascio a ciascuno di voi personalmente e a voi come responsabili e/o attivisti di parti del nostro movimento le risposte individuali e comunitarie. Auguro la solitudine del silenzio a ciascuna e ciascuno e la gioia del riflettere insieme sul perché e sul come facciamo le Acli sperando che le parole di Ciotti, Freire e Buber possano esserci compagne nell’educarci reciprocamente.

 

 N. 1 Gennaio 2024

Educarsi tra generazioni https://pop.acli.it/images/giovani_anziani_lavoro.jpg Redazione POP.ACLI