Lo spazio che racconta la memoria dell’esodo attraverso le masserizie abbandonate dai dalmato-giuliani...

Il Giorno del ricordo, che celebriamo il 10 febbraio, è stato istituito con la legge n.92 del 30 marzo 2004, per ricordare e diffondere le "complesse vicende del confine orientale" o, come meglio spiega la storiografia attuale della "frontiera adriatica" ed è entrato a pieno titolo nella memoria sociale e politica del nostro paese e nei percorsi di studio delle nostre scuole.

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Anni ’40. Trieste. Un magazzino del porto diventa il luogo di raccolta degli oggetti lasciati in custodia dai profughi giuliani-fiumani-dalmati. Scappano, senza sapere dove sarebbero approdati. Lasciano qui ciò che sono riusciti a portare via. Tutto. Poco. Tanto. Con l’idea di riusarli. Con la speranza di riportarli.

Oggi è uno spazio espositivo che racconta la memoria dell’esodo attraverso quelle masserizie: la roba che componeva la vita. Piatti, bicchieri, tazze, pentole, letti, armadi, quaderni, libri, macchine da cucire, fotografie, specchi si susseguono stanza dopo stanza. Ricomposti.

Sta tutto lì. Un ammasso ordinato di vite abbandonate dove gli oggetti convivono nel tentativo di mantenere viva la memoria anche di chi non ha più un nome ma solo un volto in una fotografia segnata dal tempo.

Quotidianità e Storia trovano qui una faticosa narrazione, imperfetta e dolente, fatta di cose e immagini che raccontano il filo spezzato della speranza dentro le vite ordinarie di donne, uomini, bambini, anziani: famiglie in fuga.

La Frontiera Adriatica ne è un esempio emblematico: qui la Storia ha lasciato ferite e tracce profonde durate molti anni nell’animo e nella carne delle persone e del territorio. Una frontiera che da sempre è stata area di sovrapposizione tra periferie di mondi contigui: quello latino, quello germanico e quello slavo, con importanti presenze ungheresi. Un territorio segnato da incroci potenzialmente ricchi e fecondi di opportunità e cultura ma, nello stesso tempo, anche miccia di innesco per conflitti terribili. Un vero laboratorio della contemporaneità, poiché racchiude in un ambito ristretto molti dei nodi della storia europea del XIX e del XX secolo.

Il Magazzino 18 narra parte di questa storia esaltando, dentro gli oggetti che conserva, la dimensione umana di quel passato. La storia e la memoria di quei fatti, al di là delle vicende politiche, sono la nostra storia. Camminando dentro quelle gallerie di oggetti non potevo non sentirmi avvolta dalle loro parole mute. Perché è vero: sono io, siamo noi quelle donne e quegli uomini. È mio quel bicchiere. Quella sedia è mia. Così quel letto, quel quaderno, quel libro, quell’abito.

La storia degli altri non è altro da noi poiché noi siamo gli altri. Solo quando la memoria riuscirà a farci ricordare questa semplice ma ineluttabile verità, aiutandoci a guardare al passato con gli occhi della compassione, solo allora saremo capaci di avviarci sulla strada del perdono, che non è un atto di grazia, ma un percorso faticoso, lento e talvolta anche doloroso, capace però di modificare il cuore di ognuno dentro un cammino di fratellanza.

Vale per il passato. Vale ancora oggi per il presente. Ma soprattutto vale per il futuro.

Il giorno del ricordo si chiama Magazzino 18 https://pop.acli.it/images/magazzino_18.jpg Redazione POP.ACLI